Ci mancava solo questa, per riconfermare l’assurdità di una architettura monetaria che lavora contro il bene del popolo. Il governatore della Bce, Mario Draghi, è intervenuto in settimana per redarguire il governo. Si è allarmato per la possibilità che venga approvato un disegno di legge che comprenda anche un contenimento dei super stipendi dei vari funzionari e direttori presenti in Bankitalia. Secondo il suo giudizio, un simile provvedimento minerebbe l’indipendenza dell’Istituto di via Nazionale.



Ma di cosa stiamo parlando in concreto? Beh, il Governatore di Bankitalia, a oggi Ignazio Visco, ha uno stipendiuccio da 496 mila euro all’anno, mentre il Direttore Generale ne guadagna circa 450 mila e i tre vicedirettori generali ne guadagnano circa 315 mila. Da notare, per paragone, che l’attuale capo della Fed, la mitica Federal Reserve americana, signora Yellen, guadagna l’equivalente di appena 150 mila euro. Ma non è solo questo. Bankitalia è una struttura complessa che, secondo il recente comunicato stampa di Adusbef, comprende 58 filiali dove operano 696 dirigenti, 1449 funzionari, 1317 coadiutori più 3697 altri dipendenti. Nel 2012 il monte stipendi pagato è stato di circa 747 milioni di euro, mentre pensioni e indennità di fine rapporto sono costati 323 milioni. In media, ciascuno dei settemila dipendenti sono costati 105 mila euro, sempre nel 2012. Tutto questo accade mentre la disoccupazione giovanile è al 46%.



Ma l’intervento del Governatore Draghi appare scomposto sotto molteplici aspetti. Bankitalia non è già indipendente? O paga lo Stato? I suoi profitti non dipendono forse dalla funzione di emissione monetaria, sulla quale ha già la più ampia indipendenza, dato che dipende dalla stessa Bce e sulla quale lo Stato non può nulla? A che pro interviene, se non per ostacolare quella stessa spending review che da più parti in Europa viene continuamente richiesta?

Forse questo è un periodo di calma, per cui Draghi, non avendo niente di meglio da fare, trova il tempo per occuparsi di queste bazzecole interne. Non ha niente di meglio da fare, anche se lo stesso Fondo monetario internazionale, uno dei componenti, insieme alla Bce, della tristemente famosa Troika, ammonisce che il sistema finanziario globale rischia il collasso, a causa delle bolle immobiliari in corso in alcune aree. Tra quelle citate vi sono la Svezia e la Norvegia. Proprio i paesi finora scampati al disastro della recessione, dove la recessione si è fatta meno sentire grazie anche all’utilizzo di una moneta sovrana: la liquidità in eccesso, non trovando sbocchi in un mercato europeo sempre più paralizzato, si è accumulata in investimenti immobiliari. Ora che la ripresa svanisce, il rischio concreto è che molti dei mutui concessi per l’acquisto degli immobili diventino in qualche modo subprime, cioè mutui inesigibili. E la quantità di mutui concessi ha messo in allarme gli analisti del Fmi. I prezzi delle case risultano superiori alla loro media di lungo periodo rapportata agli stipendi di percentuali comprese tra il 33% e l’87%. Nel Regno Unito la percentuale è +27% rispetto ai redditi e +38% rispetto agli affitti.



La cosa grave è che rischia di innescarsi uno spaventoso effetto domino. Se una banca inizia a soffrire, dovrà dismettere quei prodotti finanziari o comunque vendere gli immobili (recuperati dopo azioni legali non indolori, sia finanziariamente che socialmente). Ovviamente tale mossa deprimerà ancora più i prezzi, coinvolgendo altri istituti bancari finora rimasti indenni dalla recessione immobiliare. Il solito effetto domino, cioè un film già visto nel 2007 e poi 2008, con il clamoroso fallimento della Lehman Brothers.

Quell’esempio può essere istruttivo del disastro che potrebbe accadere, poiché alcuni ricorderanno che la prima banca a fallire fu l’inglese Northern Rock, un istituto per nulla coinvolto in mutui subprime. Ma allora perché ebbe dei problemi, fino a essere nazionalizzata? Semplicemente perché era esposta sul mercato interbancario, cioè per l’attività quotidiana ricorreva in continuazione al prestito interbancario. Ma con col scoppio della crisi, nell’agosto del 2007, il prestito interbancario si paralizzò (le banche smisero di avere fiducia tra loro!) e la Northern Rock si trovò improvvisamente nell’impossibilità di svolgere la propria operatività quotidiana. Risultato: corsa dei clienti agli sportelli e lunghe code di correntisti sui marciapiedi.

Oggi sembra un passato lontano, ma in realtà non è cambiato nulla. Ora la Bce fornisce di fatto liquidità illimitata alle banche europee, ma le stesse continuano a fare lo stesso sporco giochino, quello di tentare di creare denaro dal nulla. Ma i problemi strutturali sono rimasti tutti lì: il tempo è passato e i debiti si sono ingigantiti, insieme alla disoccupazione e ai problemi sociali, destinati a scoppiare sempre più fragorosamente di quanto avvenuto in passato.

Qualcuno si ricorda della situazione, a detta di tutti, disastrosa dell’Italia del novembre 2011, quando si dimise Berlusconi e subentrò al governo Monti? Le cronache sono ormai ricche degli aneddoti sulle influenze straniere (e pure di istituzioni italiane?) riguardo quegli avvenimenti. Ma cerchiamo di fare una analisi asettica, basata sui numeri. Il debito allora era a 1900 miliardi e il rapporto debito/Pil al 120% (fine 2011). Oggi, secondo i dati usciti da Bankitalia in settimana, il debito ha raggiunto il nuovo record di 2146 miliardi di euro, quindi 250 miliardi di euro in più rispetto al 2011, mentre il rapporto debito/Pil si avvia a superare il 136%.

Nessuno dice niente al riguardo? Draghi non ha niente da dire? Allora l’Italia sembrava sull’orlo del baratro, oggi invece, col nuovo ennesimo record di debito, le istituzioni spargono ottimismo. Sarà per il Fiscal compact, che metterà l’Italia tra i cattivi? Sarà per l’European redemption fund, che costringerà l’Italia a passare di mano i suoi beni demaniali?

Sempre secondo Bankitalia, le entrate fiscali (che ovviamente risentono dell’andamento dell’economia reale) sono calate del 2%. Siamo in recessione e ovviamente ne risentiranno anche le casse dello Stato. Draghi non ha niente da dire? La sua principale preoccupazione è la difesa dei lucrosi stipendi concessi da Bankitalia? Nessun conflitto di interessi? Ma non dobbiamo avvelenarci con queste considerazioni: quel presunto denaro lì, l’euro, è carta straccia fondata sul debito creato dal nulla. Quando inevitabilmente torneremo alla sovranità monetaria, stamperemo tutta la moneta che ci serve, senza chiederla a nessuno. Perché noi valiamo. E l’Italia, nonostante tutto, è una Repubblica fondata sul lavoro. Il nostro lavoro: quello è il vero valore. Allora dobbiamo stamparci una moneta capace di riconosce questo valore.