Finalmente ci siamo. In una nota congiunta Etihad e Alitalia confermano di aver trovato un accordo per l’operazione che porterà all’ingresso (con il 49%) della compagnia emiratina in quella italiana. Fin qui nulla di nuovo: che si sarebbe arrivati a questo punto era cosa nota da settimane. Cosa sicuramente più interessante sono i dettagli (ancora ignoti) di questa operazione, che non coinvolge solamente società private come si vorrebbe far credere.



Il Governo è infatti impegnato in prima linea per far sì che gli acquirenti siano soddisfatti e possano togliere le castagne dal fuoco acceso nel 2008 dalla “privatizzazione” di Alitalia voluta da Silvio Berlusconi. L’esecutivo avrà un ruolo importante nella trattativa sugli esuberi, più di 2.200, previsti nella compagnia italiana. Si tratterà quindi di convincere i sindacati ad accettare la “medicina amara”, molto probabilmente con forme di cassa integrazione e scivoli, già visti in azione più di 5 anni fa.



Più impegnativa un’altra richiesta di Etihad che va soddisfatta: convincere le banche a rinunciare a un terzo dei propri crediti verso Alitalia e a convertire i restanti due terzi in azioni della nuova compagnia. In pratica dagli Emirati Arabi sono pronti a mettere sul piatto 560 milioni, purché vengano cancellati (un terzo direttamente e due terzi attraverso la trasformazione in quote societarie) debiti per un importo praticamente identico. Anche qui il governo è in prima linea, dato che il ministro dei Trasporti sembra essere molto informato sullo stato dell’arte delle trattative tra Etihad e le banche, che nelle scorse settimane sono state persino convocate a Palazzo Chigi.



In via Nomentana a Roma, sede del dicastero di Maurizio Lupi, ci sono poi tre importanti richieste di Etihad che non sembrano proprio avere nulla a che fare con un trattativa tra privati: un miglior collegamento ferroviario dell’aeroporto di Fiumicino (che in realtà volevano già da tempo sia Alitalia che Atlantia, società che gestisce lo scalo romano); uno stop ai vantaggi competitivi assegnati alle compagnie low cost (che proprio recentemente hanno messo piede nell’hub della Capitale); lo stop alla limitazione degli slot per Linate (fissata a 18 movimenti orari dal 2001 nel tentativo di favorire Malpensa e mai più variata, nonostante in questi anni non fossero mancate richieste di cambiamento da più parti).

Se l’esecutivo accontenterà Etihad sarà in grado di giustificare tali scelte di fronte agli italiani? Potrà sostenere che tutte sono nell’interesse della collettività e di una maggiore concorrenza? Saprà spiegare perché, se così importanti per il trasporto aereo italiano, non sono state prese prima d’ora?

Last but not least, un dettaglio ancora ignoto dell’operazione riguarda la futura composizione azionaria di Alitalia. Allora, infatti, scopriremo quale sarà la quota in mano a Poste Italiane, che al momento detiene circa il 19,5% della compagnia. Forse in quel momento qualcuno, così distratto da operazioni tra privati e privatizzazioni, si ricorderà dei 75 milioni messi in Alitalia a fine 2013 da una società partecipata al 100% dal ministero dell’Economia e delle Finanze.

Così, giusto per rammentare che fatti 41 milioni i contribuenti italiani, ognuno di loro, volente o nolente, ha “donato” 1,8 milioni di euro per mantenere in vita una compagnia aerea privata. Di cui, in teoria, possiederebbe una minuscola quota.