Si deve alzare il sipario, rompere il silenzio su quello che il professor Gustavo Piga chiama, rifacendosi a un economista francese, il “dibattito proibito”. E occorre lanciare un grande segnale dal basso contro questa politica di “ottusa austerità” in campo europeo che sta facendo solamente soffrire milioni di cittadini. Gustavo Piga è professore di Economia politica all’Università di Roma, Tor Vergata. E da diversi anni, pubblicamente, mettendoci la sua faccia, definisce questa politica dell’austerità una scelta ottusa. Piga precisa: «A volte l’austerità serve, è necessaria in tempi di espansione economica, ma diventa un’assurdità, appunto una scelta ottusa, in un periodo di recessione come quella che stiamo vivendo».

Siete passati dall’analisi, dallo studio, dalle dichiarazioni a un passo che si potrebbe definire di carattere politico, o che in tutti i casi avrà certamente una grande eco pubblica, con la presentazione di quattro referendum sostanzialmente contro il Fiscal compact.

Ripercorrendo questo percorso poteri dire che siamo partiti da un’associazione di cui ero presidente, “Viaggiatori in movimento”, abbiamo continuato nelle nostre analisi e alla fine siamo arrivati a costituire un Comitato di 16 persone, del tutto trasversale come posizioni politiche, perché ci sono persone del tutto indipendenti, economisti che hanno una matrice di destra e altri, economisti o politici, che vengono dalla sinistra. In questo comitato si possono trovare persone come Baldassarri, come Nicola Piepoli, come persone che militano in Sel o nel Pd. Ci sono economisti, giuristi.

L’obiettivo?

Raccogliere le firme, 500mila firme, per arrivare a quattro referendum che siano in grado di depotenziare il Fiscal compact. Quattro quesiti referendari per modificare alcuni articoli della legge 243 del 2012, approvata dal governo Monti, che ha costretto l’Italia a vincoli persino più stringenti di quelli previsti dalla normativa europea. Abbiamo voluto fare i “più belli di tutti” in questo campo. Un’autentica assurdità.

Il risultato è quello che lei ha indicato da anni.

Tutti i documenti di programmazione economico-finanziaria da allora si sono attenuti ai vincoli europei, con gravi conseguenze sul piano economico e sociale. Basta guardare i dati, basta fare il triste elenco di tutti i risultati di questi anni.

Perché avete scelto il 26 giugno per presentare questi quattro quesiti referendari e perché avete pensato a dei referendum?

Siamo alla vigilia del semestre europeo italiano. Abbiamo ascoltato con interesse quello che dice Renzi e pensiamo che porterà questo dibattito sulla crescita, contro la disoccupazione e su altri temi in Europa. Ma occorre anche un segnale forte che viene dal basso, perché spesso si scivola nei discorsi sulla “austerità flessibile”, che è solo un nulla, una scelta inconsistente rispetto alle esigenze del tempo e che ha uno scopo “gattopardesco”. In sostanza, cambiare tutto per non cambiare nulla. Perché abbiamo scelto il referendum come strumento? Il referendum è l’unico strumento che i cittadini hanno per lanciare un segnale forte al nostro Parlamento, per chiedere di fermare le politiche austere e ottuse che finiscono per aggravare il quadro recessivo, e per invocare una svolta espansiva di politica economica a favore dello sviluppo e del lavoro.

 

È una chiamata contro il Fiscal compact, ma sono sostanzialmente quattro referendum per depotenziarlo.

In questo caso ci sono stati di aiuto dei grandi giuristi come Giulio Salerno e Paolo de Joanna. Al momento, trattandosi di un trattato internazionale, non si può fare un referendum contro il Fiscal compact, ma bisogna individuare i punti della legge che servono a depotenziarlo. Un passo per volta. Vorrei ricordare che persino il referendum contro il “nucleare” non era direttamente contro il “nucleare”, ma andava a prendere aspetti che poi lo hanno bloccato. Noi pensiamo, un passo per volta, di arrivare a questo.

 

La vostra scelta in questo caso (adesso la vostra battaglia) non si confonde con le scelte degli euroscettici?

Noi ci siamo tenuti scrupolosamente lontano da quelle posizioni, non ci siamo mescolati con quelle scelte. Noi crediamo nell’Europa e nell’euro. Uscire dall’euro per noi significherebbe un danno gravissimo. Con questi quattro referendum vogliamo sostenere tutti i governi europei e le forze politiche del Continente per risvegliare la “bella addormentata” Europa. Un progetto così importante come quello europeo, rafforzato da una moneta comune che spinge gli Stati membri al dialogo e che ci fa trovare uniti al tavolo geopolitico delle negoziazioni mondiali, è messo in crisi da politiche ottusamente austere, che, come ampiamente dimostrato dai numeri, non solo non rimettono in ordine le finanze pubbliche degli Stati, ma impediscono di generare un clima favorevole alle necessarie riforme, creando scoramento, scetticismo e sfiducia, specie tra i più giovani, sul senso del comune progetto europeo.

 

È ottimista sulla raccolta delle firme?

Sono sempre ottimista e saranno mesi intensi, di passione, ma è un compito che dobbiamo affrontare. Siamo partiti da lontano, ma passo dopo passo crediamo che il “dibattito proibito” diventerà pubblico.

 

(Gianluigi Da Rold)