«Il pacchetto di misure di Draghi per le imprese comporta numerosi benefici per l’economia reale, in quanto riduce l’indebitamento dei Paesi del Sud Europa come l’Italia e rende più remunerativi gli investimenti. Nello stesso tempo fa scendere indirettamente il tasso di cambio dell’euro, agevolando l’export delle nostre imprese». Lo sottolinea il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze.
Professore, le misure di Draghi funzioneranno veramente per fare arrivare il credito alle imprese o si tratta solo di un regalo alle banche?
Draghi ha adottato una misura che crea soprattutto liquidità. Potrebbe essere un regalo alle banche, ma comporta anche dei benefici per il debito pubblico perché in Italia e in altri Paesi del Sud dell’Europa le banche sono indebitate. Per Renzi e per le Regioni questo è il momento di investire, perché questa duplice operazione di credito del Ltro rende gli investimenti più remunerativi.
Per quale motivo?
Le misure attuate da Draghi sono due. La prima è la riduzione del tasso d’interesse allo 0,15% e la creazione di un tasso d’interesse passivo al -0,10% per i depositi overnight delle banche. A ciò si aggiunge il Ltro (Long Term Refinancing Operation), con cui erogare prestiti alle banche. Queste ultime portano carta come garanzia collaterale. Beneficiando di un tasso drasticamente ridotto, le banche possono utilizzarlo per obbligazioni sicure di investimenti a lungo termine che diventano vantaggiosi grazie al basso costo del denaro.
Può fare un esempio?
A suo tempo avevo calcolato che la redditività del Ponte sullo Stretto di Messina dipendeva dal tasso d’interesse. La redditività in un periodo di 40 o 50 anni comporta un gioco di tassi composti, tale per cui basta mezzo punto percentuale per fare la differenza tra un investimento redditizio e uno che non lo è. Con un tasso d’interesse allo 0,15% tutti gli investimenti infrastrutturali diventano convenienti. C’è anche un alleviamento del debito pubblico, che però comporta un rischio in quanto diventa una sorta di droga. Siccome si può emettere debito pubblico a tassi bassi, è il tasso a generare il valore del titolo.
Il cambio euro-dollaro rimane però stazionario, continuando a creare problemi per l’export. La Bce dovrebbe intervenire anche a questo livello?
La Bce ha abbassato la remunerazione del tasso primario a un livello molto simile a quello degli Stati Uniti. Quindi non conviene prendere soldi nella Banca centrale americana e portarli in Europa come gioco di trading. C’è insomma un flusso in uscita dall’Europa verso l’America, con il tasso di cambio dell’euro che si indebolisce. Se si fa una riflazione che modifica i flussi internazionali di capitali, modificando questi ultimi scende il tasso di cambio. Il cambio euro-dollaro era diventato artificiale e non rappresentava più il valore delle nostre merci e il potere d’acquisto.
Come si era determinato questo cambio artificiale?
Abbiamo dei flussi di capitali basati sulla credenza che l’euro sia migliore del dollaro, e fin qui è possibile, ma il dato di fatto è che il tasso di rendimento dell’euro era maggiore di quello di yen e dollaro. Il tasso di cambio dell’euro dovrebbe quindi flettersi, come effetto principale della lotta contro la deflazione. Anche se il Wall Street Journal è piuttosto scettico nei confronti del pacchetto di Draghi, perché fa notare che alcune di queste operazioni fatte per esempio in Giappone non hanno ottenuto l’effetto desiderato.
(Pietro Vernizzi)