Ci mancava la Lituania. Eh sì, sentivamo proprio la mancanza, in questa unione monetaria, del paese baltico. L’Ue, dopo una rigorosa analisi dell’economia locale, ha dato il via libera: dal 1 gennaio 2015, anche i lituani potranno usare l’euro. Un grande successo! Ma per chi? Intanto cerchiamo di capire qualcosa di più dell’economia lituana. Pil al 3,3%, inflazione all’1,2%, debito al 39% sul Pil, disoccupazione di poco inferiore al 12%, ma in rapido calo dopo il 15% del 2011. Ottimi numeri, non c’è che dire. Ma ottenuti come?
Vediamo ora quali sono le condizioni fiscali vigenti nel Paese. Una società di capitali a responsabilità limitata si apre con un capitale minimo di 3.000 euro. L’apertura si ottiene con una burocrazia ridottissima entro dieci giorni. I redditi sulla persona sono al 15%. I redditi d’impresa sono soggetti a una tassazione del 5% per le imprese con fatturato inferiore ai 300mila euro, mentre per le altre l’aliquota è al 15%.
Leggo dal sito della Associazione Camera di Commercio Italia Lituania: “Un ulteriore vantaggio concesso a chi investe in Lituania deriva dalla presenza delle cosiddette Zone economiche libere, aree produttive speciali in cui l’investitore straniero è praticamente esente da tasse . In Lituania vi sono due zone, la prima a Klaipeda e l’altra a Kaunas. La prima è favorita dalla vicinanza al porto, sempre libero da ghiacci oltre che essere collegata con Vilnius da una autostrada. La seconda è adiacente all’aeroporto di Kaunas, città che si trova al crocevia dei traffici con le altre repubbliche baltiche, a 100 chilometri dalla capitale, Vilnius. In queste aree l’investitore deve creare un progetto produttivo (fabbrica, laboratorio, ecc.) di almeno un milione di euro e pagare l’affitto per il terreno che rimane suo per 99 anni. In cambio si vede riconoscere l’esenzione da tasse per i primi 6 anni di attività e la riduzione al 50% per i restanti 10 anni”.
Insomma, un altro paradiso fiscale in Europa, un altro Paese dove spostare la fabbrica per guadagnare meglio in tempi di recessione. Una recessione inevitabile, poiché spostando la fabbrica si creano nuovi disoccupati nel proprio Paese. A proposito, una domandina facile facile. Con quale Paese confina la Lituania? Con l’Italia? Con la Francia? Oppure con la Germania? Nessuno di questi! La zona Euro diventa un continente con un’isola nel mezzo di una terra straniera. E questa “isola economica” che adotterà l’euro si trova circondata da paesi (Polonia, Bielorussia, Lettonia) che conservano una moneta nazionale. E quale lingua si parla, oltre al lituano e al russo? Sì, proprio il tedesco.
In altre parole, la Germania si è creata una propria zona di investimenti industriali, dove potrà spostare le proprie industrie ed essere favorita da una tassazione estremamente bassa. Di fatto, si potrà produrre a costi cinesi merci da esportare in tutta Europa, spiazzando così la concorrenza industriale delle altre nazioni. E siccome il costo medio per l’impresa di uno stipendio è di circa 600 euro, si capisce bene cosa potrà accadere ai dipendenti italiani: o si mettono a fare concorrenza a quegli stipendi, oppure sono destinati alla disoccupazione.
Del resto, il quadro italiano è stato ben rappresentato dalla dichiarazione del Centro Studi di Confcommercio: “Ci vorranno più di 11 anni per tornare ai livelli pre-crisi per i consumi”. Ma secondo me sono ottimisti. Intanto la Bce, con una mossa ormai disperata, ha tagliato ancora i tassi di interesse. Cerca in ogni modo di sostenere la finanza e le banche, a fronte di un’economia che non riesce a riprendersi per una cronica mancanza di moneta.
L’ho già detto molte volte, ma vale la pena ripeterlo. La mancanza di una definizione di moneta permette un’ignoranza e un’ambiguità. L’ignoranza corrisponde all’illusione di avere una moneta unica, solo perché ovunque ha lo stesso nome: euro. Ma evidentemente di fatto non è una moneta unica, visto che a un Paese indebitarsi costa un certo tasso e a un altro costa di meno. E siccome costa di meno ai paesi che sono più grossi e stanno meglio, la pseudo moneta euro favorisce costantemente i più forti e mette nei guai i più deboli. Ma non basta l’ignoranza, c’è pure l’ambiguità: la Banca centrale europea crede di creare moneta ma invece crea liquidità. Il risultato? Un eccesso di liquidità nei mercati finanziari e una cronica mancanza di moneta nell’economia reale.
Può finire bene? Finirà bene, perché sempre più persone si rendono conto del problema e capiscono che la soluzione non può venire, oggi, dalle istituzioni. E se un popolo si muove, c’è da sperare.