La regola del 3% nel rapporto deficit/Pil “fu una scelta casuale e senza nessun ragionamento scientifico, dovevamo fare in fretta ed è venuta fuori in un’ora”. Lo rivela Guy Abeille, noto anche come “Monsieur 3%”, l’inventore della regola del 3% successivamente inserita nel trattato di Maastricht. L’uomo all’epoca lavorava nel ministero delle Finanze francese, e in un’intervista a Repubblica ha spiegato: “Immaginavo che ci sarebbero stati degli studi più approfonditi, in particolare quando il parametro è stato esteso all’Europa. E invece il 3% rimane ancora oggi intoccabile, come una Trinità”. Ne abbiamo parlato con Claudio Borghi Aquilini, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Che cosa ne pensa del fatto che una regola nata per caso come quella del 3% si sia trasformata in un imperativo intoccabile?
L’intero insieme delle regole Ue è sempre ed esclusivamente stato funzionale alla creazione forzata di politiche o di provvedimenti che hanno finito per gravare sulla schiena dei paesi deboli. I paesi forti sapevano benissimo che qualora fosse capitato a loro di dovere aver a che fare con questi numeri, cosa che tra l’altro non pensavano minimamente, avrebbero cambiato le regole. Nel trattato di Maastricht il 3% del rapporto deficit/Pil va in parallelo con il 60% del rapporto debito/Pil. Nel momento in cui Francia e Germania hanno deciso di sforare l’obbligo del 60% nel rapporto debito/Pil, dovevamo lasciarci alle spalle entrambe le regole. I due parametri di Maastricht nei trattati hanno assolutamente uguale importanza.
Il trattato prevedeva delle eccezioni?
Per Italia e Belgio, cioè per quei due paesi che partivano da un livello di debito superiore, il trattato aveva previsto espressa deroga purché si riducesse l’indebitamento nel tempo. Il limite del 60% nel rapporto debito/Pil per chi era al di sotto di tale livello rimaneva assolutamente stringente. Partendo da un livello debito/Pil inferiore al 60%, la Germania ha superato l’80%. All’inizio dell’euro, quando la Germania si è trovata al di sopra del deficit/Pil del 3%, non sono mai state applicate delle sanzioni. Nello stesso periodo l’Italia stava riducendo il suo debito pubblico e la Spagna lo stava quasi azzerando. Eppure l’economia tedesca si è rafforzata e quelle italiana e spagnola si sono indebolite, dimostrando che i parametri di Maastricht non hanno nulla a che vedere con la sana gestione di uno Stato e che da un punto di vista economico non sono di nessuna utilità.
Quale soglia andrebbe sostituita a quella del 3%?
Il 3% e il 60% non andrebbero sostituiti con altri numeri, ma andrebbero aboliti. L’economia è fatta di cicli e nei momenti di recessione si deve spendere di più per contrastarla, nelle fasi di crescita si deve mettere fieno in cascina e frenare eccessi di crescita con un bilancio in surplus. Qualsiasi sistema economico deve prevedere una reazione al ciclo, e non una rigidità basata su dei semplici numeri. Non importa se questi ultimi invece che a caso fossero stati scelti con riunioni accademiche mondiali.
Insomma, l’invenzione di Guy Abeille una volta inserita nel trattato Ue ha creato solo danni?
Quello previsto dal trattato di Maastricht è un meccanismo stupido, perché non tiene conto del ciclo, e ingiusto perché è ignorato ogni volta che infastidisce gli Stati più potenti. Dall’inizio della crisi il rapporto debito/Pil nell’area euro è cresciuto a dismisura. I limiti previsti dal trattato di Maastricht servono quindi solo come scusa per imporre qualcosa agli Stati deboli. Questi ultimi devono piegare la testa, per non parlare del fatto che l’Italia dovrà fare di peggio in quanto ci siamo messi il pareggio di bilancio in Costituzione.
Eppure il debito non va a gravare sulle giovani generazioni?
Questa è un’altra delle famose illusioni in cui viviamo. A fronte del debito pubblico lasciamo alle giovani generazioni anche un credito privato. Poniamo che un padre lasci in eredità al figlio dei risparmi in titoli di Stato. A quel punto il figlio eredita il debito pubblico, ma si porta a casa anche dei beni, una casa o la ricchezza guadagnata dal padre durante tutta la sua vita.
(Pietro Vernizzi)