Un vero e proprio “coretto a cappella”. Annunciata l’intesa (peraltro piuttosto fragile) raggiunta in commissione Affari costituzionali del Senato sul metodo di elezione dei nuovi componenti del collegio (se e quando verrà completata la riforma della Costituzione), i maggiori commentatori della stampa nazionale hanno affermato, in editoriali e analisi apparsi nel fine settimana, che ora il Presidente del Consiglio Matteo Renzi dedicherà la propria attenzione e quella del Governo che presiede agli urgenti gravi problemi dell’economia.
Negli ultimi giorni della settima scorsa è stato presentato il documento del Cer di Roma “Exit from the crisis?”, che delinea una sostanziale stagnazione sino a quando non aumenterà la produttività dei fattori. Anche per il Ref di Milano la crescita si presenta piatta nell’anno in corso. Prometeia di Bologna ha drasticamente abbassato le proprie stime per il 2014 da un aumento del Pil dello 0,7% a uno dello 0,3%. Ancora più inquietante, l’analisi dei 20 istituti econometrici internazionali (tutti privati, nessuno italiano) che fanno parte del gruppo del consensus: in media prevedono per l’anno in corso una crescita appena dello 0,2% , tassi d’interesse sui titoli di stato decennali pari al doppio della media dell’eurozona (con effetti molto pesanti sul debito pubblico), un disavanzo di bilancio pari al 3% del Pil e un tasso di disoccupazione tendenzialmente verso il 13% della forza lavoro. Siamo già nella seconda metà dell’anno. Quindi, le stime paiono affidabili. Tanto più che convergono.
Un rapporto dell’Economist intelligence unit, a cui hanno, ovviamente, accesso solo gli abbonati ai documenti dell’istituto di ricerca con base a Londra ma di cui Palazzo Chigi e via Venti settembre conoscono i contenuti, sottolinea che, per troppo tempo, il Governo ha sottovalutato gli effetti (negativi) di breve periodo di riforme istituzionali non accompagnate da un programma espansionistico e di puntare su un’imprecisata “flessibilità” da ottenere in sede europea mentre l’economia fa acqua e il disagio sociale diventa sempre più grave.
Ci sono segnali di un “nuovo corso” della “Matteonomics”? È difficile dare una risposta puntuale. Da un lato, è auspicabile (e possibile) che se la riforma della Costituzione (il tema che sinora più ha interessato il Presidente del Consiglio assorbendone tempo e attenzione) pare bene impostata, Renzi avrà modo di dedicare maggiori sforzi all’economia. Da un altro, dal decreto legge del 24 giugno (ora all’attenzione delle Camere per la conversione in legge) è difficile argomentare che si è sulla buona strada.
È un provvedimento al tempo stesso “omnibus” e puntiforme: dai crediti d’imposta per l’acquisto di beni strumentali a modifiche marginali all’Ace (l’Aiuto alla crescita economica varato dal Governo Monti), dall’istituzione di nuovo Istituto italiano di contabilità a ritocchi alle procedure per le emissioni di azioni e obbligazioni. Intendiamoci bene: si tratta, in gran parte, di misure che hanno un’utilità e rispecchiano i desideri e le attese di interessi legittimi. Siamo, però, lontani da riforme che incidano sulle strutture dell’economia e favoriscano un aumento della produttività.
A rendere il quadro ancora più complicato, l’attenzione dell’Esecutivo in materia di provvedimenti economici “strutturali” sembra riguardare ancora una volta il mercato del lavoro. Siamo certi che, dopo tante modifiche, sia ancora la normativa sul lavoro a impedire la crescita? E non la ragnatela di vincoli ai mercati dei prodotti e dei servizi che decreti legge come quello del 24 giugno scorso potrebbero aggravare?
In effetti, il punto centrale – lo ha presentato di recente il rapporto annuale di Società libera – consiste nelle liberalizzazioni e privatizzazioni e nella fine di quel “socialismo reale municipale e regionale”, compiti nei quali in cui sinora sono state delineate solo cessioni di quote azionarie di grandi aziende controllate dalla Stato.
Cosa dedurre? Se c’è un “nuovo corso” è quanto meno incerto e traballante.