Pierpaolo Baretta, sottosegretario al Tesoro, rassicura tutti: “Non ci sarà una manovra bis neanche se il quadro economico dovesse peggiorare”. Pare anche che l’esecutivo di Matteo Renzi escluda una revisione dei conti pubblici nel 2015, convinto pure che la richiesta del rinvio del pareggio del bilancio al 2016 verrà accolta infine dall’Europa. Dalle parti di via XX settembre sembra regnare l’ottimismo, eppure l’Ecofin in settimana, è stato riconosciuto da più parti, non ha cambiato nulla nelle regole stringenti sui bilanci dei paesi membri. Anzi, se vogliamo dirla tutta l’Italia ne è uscita con una raccomandazione a “rafforzare le misure di bilancio per il 2014”. Come stanno allora realmente le cose?



Purtroppo non lo capiremo in tempi brevissimi. Difficile infatti che l’Ecofin del 17 luglio riesca a portare un chiarimento definitivo sul concetto di flessibilità dei vincoli del Patto di stabilità e crescita. Ad agosto, però, l’Istat diffonderà la stima preliminare sul Pil del secondo trimestre e allora sapremo se il balzo in sella di Renzi ha cominciato a dare i suoi frutti per l’economia. I dati elaborati dall’Istituto nazionale di statistica saranno poi fondamentali per predisporre l’aggiornamento del Def, il Documento di economia e finanza, atteso per il 20 settembre. Allora Padoan dovrà decidere se confermare le previsioni di crescita del Pil dello 0,8%, di un deficit/Pil al 2,6% e di un debito/Pil al 134,9%. I numeri del ministro saranno importanti, perché dovranno essere trasmessi ancora a Bruxelles, che potrà poi così dare le sue “pagelle” di fine anno, con le previsioni economiche di novembre.



Ora, da più parti si riconosce che la stima sul Pil elaborata ad aprile difficilmente si concretizzerà (il recente dato sulla produzione industriale di maggio sembra essere un indizio molto forte in proposito). E inevitabilmente dei riflessi ci saranno sui rapporti deficit/Pil e debito/Pil. Se è vero che non sforare il tetto del 3% resta un’operazione relativamente semplice, più difficile è senz’altro contenere l’aumento del debito pubblico, tanto più che a questo obiettivo erano stati indirizzati interventi di dismissioni e privatizzazioni. Quella di Fincantieri non è stata propriamente un successo e il 40% di Poste italiane probabilmente non arriverà in borsa entro fine anno come si pensava. A Padoan non resta che mettere in vendita “l’argenteria” di Eni ed Enel.



Va poi detto che il costo del debito pubblico sembra destinato a crescere nei prossimi mesi. Già in questi giorni il rendimento dei titoli di stato italiano sta tornando a salire, senza dimenticare che la Federal Reserve pare intenzionata a chiudere i rubinetti del Quantitative easing a ottobre. Se Oltreoceano cominciassero a prendere in considerazione anche un aumento dei tassi di interesse, la corsa all’acquisto di Bot e Btp potrebbe subire una brusca frenata. Con ripercussioni sui conti pubblici. A meno che non sia la Bce a cominciare ad acquistare titoli di stato. Tuttavia, le recenti dichiarazioni di Draghi fanno pensare che ci vorrà nel caso del tempo per arrivare a un provvedimento del genere.

Insomma, per capire cosa accadrà alle loro tasche nei prossimi mesi agli italiani converrà prestare molta attenzione alle notizie che arrivano da Washington, Francoforte e dai mercati finanziari. In patria meglio attendere i numeri e le riforme vere (al di là di quella elettorale che sicuramente non crea Pil) piuttosto che ascoltare le litanie sulla flessibilità. Del resto il Telemaco tanto caro a Renzi era anche un piccolo robot didattico capace di dettare, correggere, scrivere e sillabare 114 parole. Ma una banale calcolatrice non ce l’aveva…