Al netto delle molte parole pronunciate in questi ultimi giorni da Mario Draghi rispetto euro, stabilità, crescita, inflazione e soprattutto stabilizzazione dei mercati, ce ne solo altre che non sono finite su nessun grande quotidiano o telegiornale ma che meritano davvero di essere conosciute. A pronunciarle è stato Maximilian Zimmerer, numero uno del principale gruppo assicurativo europeo, Allianz SE: “I problemi fondamentali (dell’eurozona, ndr) non sono stati risolti e lo sanno tutti. La crisi dell’euro non è finita”. E nonostante le mosse della Bce – ma soprattutto di Fed e Bank of Japan – abbiano attratto investitori verso il debito della periferia dell’eurozona, per Zimmerer – che sovraintende investimenti per 556 milioni di euro –, questo “non è un rimedio sufficiente. Le nazioni stanno ancora aumentando il loro stock di debito e quindi stanno preparando le scorte di problemi per il futuro. C’è stato un solo Paese lo scorso anno in cui il livello di debito è stato inferiore a quello del 2012 e questo è il chiaro segnale che la crisi non può dirsi finita, ha soltanto mutato il suo aspetto. Se i livelli di debito non stanno scendendo, allora abbiamo e continuiamo ad avere un problema, questo è chiaro”.
Ma Zimmerer non è stata la sola voce critica verso la Bce in queste ore, visto che una delle stoccate più dure è giunta nientemeno che dall’Fmi, l’istituto guidato da Christine Lagarde, il quale ha detto senza mezze misure che è un errore quello delle autorità europee di mantenere l’eurozona bloccata in una trappola di bassa crescita, mettendo in guardia dalla possibilità che si potrebbe arrivare a una situazione tale da obbligare a stampare moneta per evitare la deflazione. Per l’autorità di Washington, “l’inflazione è stata troppo bassa per troppo tempo. Un persistente fallimento nel perseguire l’obiettivo prefissato per l’inflazione (attorno al 2%, ndr) potrebbe addirittura minare la credibilità stessa della Bce”, si legge nero su bianco sul report annuale dedicato all’eurozona. Di più, “uno shock esterno negativo potrebbe trascinare l’economia in deflazione, visto che la ripresa non è forte e robusta come servirebbe. I mercati finanziari sono ancora frammentati, con credito in contrazione e alti costi per il finanziamento che portano a una contrazione degli investimenti nelle nazioni con ampi di gap di output, grossi stock di debito e alta disoccupazione”.
L’Fmi parla chiaramente di “un programma di acquisto di assets su larga scala, se l’inflazione non dovesse salire a un livello accettabile”, oltre che a una spinta concordata per riattivare la domanda, visto che “l’alta disoccupazione è causata certamente più dal crollo di queste condizioni macro che dalla rigidità dei mercati del lavoro o alla mancanza di specializzazione, come spesso viene detto”.
E con un output industriale dell’eurozona in calo dell’1,1% in maggio, appare molto difficile vendere la favoletta della ripresa in atto: basti pensare che la produzione industriale nell’eurozona è ancora giù del 12% rispetto al picco pre-crisi di sei anni fa. L’Fmi prevede una crescita nell’area dell’1,1% quest’anno e dell’1,5% il prossimo, con rischi però al ribasso dovuti al “contagio” della manovra di contrazione monetaria della Fed, di fatto già annunciata per ottobre o a una nuova ondata di instabilità sui mercati emergenti. L’Fmi punta l’indice poi sul cosiddetto “doom-loop”, ovvero il rischioso legame tra banche e debiti sovrani, capaci in caso di shock di auto-contagiarsi a vicenda in tempi rapidissimi.
Ne è riprova quanto accaduto la scorsa settimana con Banco Espirito Santo, il cui mancato pagamento di un’obbligazione subordinata non ha colpito solo il settore bancario ma anche gli spread sovrani di Italia, Spagna e Grecia. E attenzione, perché quanto sta continuando ad accadere in Portogallo a livello di contagio non deve far stare tranquillo nessuno: ieri infatti il titolo di Banco Espirito Santo ha toccato nuovi minimi, arrivando a perdere il 10% ma il tonfo ha intaccato anche Rioforte, gruppo che controlla il ramo delle attività finanziarie di Grupo Espirito Santo, il quale rischia di fare default su un pagamento da 847 milioni di euro nei confronti di Portugal Telecom. Il tutto, mentre in mattinata veniva diffuso il dato in base al quale i prestiti per investimenti in Portogallo nel mese di maggio hanno letteralmente collassato a un ritmo record, giù dell’8,23%. Fortuna che il miracolo lusitano avrebbe dovuto trainare la ripresa europea. Tornando all’Fmi, “sul medio termine ci sono grossi rischi per l’eurozona di finire in stagnazione, la quale potrebbe emergere da un quadro persistente di domanda interna depressa dovuta al deleveraging, insufficiente azione politica e riforme strutturali in stallo”.
Inoltre, sempre per l’istituto di Washington, le autorità europee dovrebbero addirittura prevedere “clausole di fuga” per liberare le nazioni dalla loro camicia di forza fiscale in caso la deflazione dovessere palesarsi. Inoltre, il cosiddetto “quantitative easing” in stile Fed non sarebbe una panacea ma aiuterebbe a incrementare sia la domanda che l’offerta di credito, agendo come un potente catalizzatore: per l’Fmi, infatti, non ci sarebbe rischio immediato di bolla del credito o dei prezzi immobiliari, nemmeno in Germania.
E il QE, quando e se dovesse esserci, dovrebbe interessare l’unica opzione ritenuta davvero efficace, ovvero l’acquisto di bonds sovrani, visto anche il tabù tedesco rispetto all’acquisto di equities: “Ma gli acquisti della Bce dovrebbero riguardare tutte le obbligazioni sovrane, non solo della “periferia” o dell’area cosiddetta ‘core’, perché il problema dell’inflazione troppo bassa riguarda tutti”, di fatto un’opzione che potrebbe mettere a tacere le critiche di chi già oggi parla di un’eventuale violazione del Trattato di Lisbona in caso di intervento.
Per Gabriel Stein della Oxford Economics, “la Bce sta tentando disperatamente di evitare il QE, sperando che la ripresa arrivi da sola e li salvi in tempo”: d’altronde, con la Bundesbank sempre pù falco e la Corte costituzionale tedesca che ha già giudicato illegale il piano di back-stop del debito italiano e spagnolo da parte della Bce, capiamo il perché Mario Draghi stia tentando tutte le alternative prima di andare allo scontro frontale. Per Tim Congdon dell’International Monetary Research, il problema chiave per l’eurozona “è il livello troppo alto di deleverage richiesto dai regolatori alle banche, le quali vendendo assets ad altri investitori per allegerire i bilanci, stanno di fatto sistematicamente distruggendo moneta e riducendo l’offerta di massa monetaria M3. Quindi, un programma di QE appare oggi necessario per controbilanciare questi effetti negativi. La creazione di un tasso positivo di moneta è più importante della ripulitura forzata dei bilanci bancari, almeno in una congiuntura come quella attuale”.
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