Circa venti anni or sono, John Major, allora Primo Ministro del Regno Unito, fu isolato nel corso delle negoziazioni che si svolgevano in quell’angolo inglese della Grecia che è l’isola di Corfù. In gioco c’era l’elezione del Presidente della Commissione europea. Ai dodici stati che allora componevano l’istituzione, i tedeschi e i francesi volevano imporre la nomina di Jean-Luc Dehaene, un acceso federalista. Major protestò e non dovette adeguarsi: bloccò la nomina. Allora, infatti, non si votava a maggioranza com’è invece avvenuto nei giorni scorsi con la nomina di Jean-Claude Juncker, anch’egli federalista e per di più lussemburghese d’antan, ossia il volto dell’Ue più foriera d’austerità (e di oscuro potere finanziario) che si conosca. Fu una vicenda che ferì profondamente il Regno Unito e accelerò la crisi dei Tories.



Oggi tutto è cambiato. Non solo gli stati membri sono ventotto, ma la nomina di un federalista in un’Europa che si avvia a essere degli stati e delle nazioni è molto più divisiva di un tempo. Innanzitutto in Uk, dove Ed Miliband ha dato dell’intossicatore a Cameron e lo ha accusato di porre in discussione più di tre milioni di posti di lavoro: tanti se ne perderebbero se l’Uk si sfilasse (non si sa come) dall’Ue.



La radice di tutto risiede tanto nella tragica decadenza dei Tories quanto nell’incapacità di tutti i cosiddetti leader europei di esprimere una leadership al passo con le trasformazioni in corso in Europa. Queste ultime sono di gran conto: una è interna. Il peso del Consiglio e quindi degli stati cresce rispetto alla Commissione. Sarebbe stato opportuno allora, anche approfittando del voto euroscettico, equilibrare il sistema dei pesi e delle rilevanze statuali non solo in base ai rapporti di forza, ma anche in virtù del principio della condivisione invece che della sottrazione della sovranità, come invece sta avvenendo questa volta.



La verifica la si ha leggendo come i giornali tedeschi – anche i più seri e sono ben pochi – hanno reagito all’umiliante sconfitta di Cameron, il quale si è trovato accanto solo la pericolosa Ungheria e non è stato seguito da uno storico alleato del Regno Unito come la Svezia (sua compagna di un’effimera unione doganale ai tempi del Mec in funzione antifederalismo europeo!). I giornali tedeschi hanno viepiù umiliato e ridicolizzato Cameron, in una pericolosa orgia di bieco nazionalismo. La cosa tragica è che ai tedeschi pare sfuggire che con l’umiliazione del Regno Unito il conflitto economico e diplomatico tra Usa e Germania cresce sempre più.

Nell’ottobre del 2013, su Foreign Affairs, Matthias Matthijs aveva scritto un articolo perentorio: guai a un Uk che lasciasse l’Ue. Il sistema d’influenza nordamericano ne sarebbe irrimediabilmente minacciato. Gli Usa una volta tanto vedevano e vedono giusto: senza il Regno Unito l’Europa è destinata a essere una stella cadente stretta tra una Russia affetta da sindrome d’isolamento e una Germania neonazionalista che è disposta solo a concessioni tattiche e non strategiche. Esattamente, invece, quelle che oggi servono, pena la stagnazione secolare europea con tutte le conseguenze del caso, nazionalismi trionfanti in primis.

Il governo italiano deve ricordare che l’asse centrale della nostra collocazione internazionale in politica e in economia sono gli Usa e non il Quarto Reich. Tutto il resto – statene certi – è secondario. Anche per quel che riguarda il nostro semestre europeo e la nostra dichiarata volontà di voltar pagina con l’austerità.

Si sono espresse buone idee e ottimi programmi neokeynesiani e non più ordoliberisti. Ma è solo non unendosi all’umiliazione della potenza atlantica impersonificata dal Regno Unito – quale che sia il governo di quella grande nazione – che quei programmi possono essere trasformati in realtà.