È trascorso quasi un mese dall’inizio del semestre in cui l’Italia ha l’onere e l’onore di presiedere gli organi collegiali di governo dell’Unione europea. Secondo alcuni esperti di materie, e prassi, comunitarie, ne sarebbero passati due in quanto agosto è un mese in cui gli uffici di Bruxelles, Lussemburgo e quant’altro assomigliano a camere ardenti a ragione delle lunghe vacanze dei funzionari che le passano nelle rispettive patrie. Tanto più che il Consiglio europeo del 16 luglio (che avrebbe dovuto nominare la Commissione per i prossimi cinque anni) non ha concluso un bel niente e ha aggiornato i propri lavori al 30 agosto.



Quindi, secondo questi calcoli, sarebbe di fatto trascorso un terzo del semestre, politicamente parlando. Non è, quindi, fuori luogo tentare un primo bilancio, anche al fine di individuare se è il caso di effettuare cambiamenti di stile e di rotta. Specialmente nelle prossime settimane in cui prevarrà quella “diplomazia segreta” di cui né il Presidente del Consiglio, né il ministro degli Affari esteri, avvezzi a platee oceaniche televisive, sembrano avere grande esperienza.



Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi è certamente consapevole che su di lui a Bruxelles e dintorni gira un titolo shakespeariano che rischia di diventare il suo soprannome: much ado for nothing, ossia “molto rumore per nulla”. È probabilmente un epiteto non giustificato. Tuttavia, il pomeriggio del 17 luglio, il magazine dell’Istituto affari internazionali, sempre equilibrato ed erede intellettuale della tradizione europeista-federalista di Altiero Spinelli, affermava che “l’Italia è ora sulla difensiva” (in un negoziato europeo in cui era partita all’offensiva). In effetti, la partenza è stata in “do maggiore”, la tonalità dell’esultanza, ma la conclusione, di questa prima tornata, sembra essere in “re maggiore”, cupa tonalità invece della tristezza.



Per il suo battesimo nelle brume di Bruxelles, Renzi si era posto due obiettivi e li aveva annunciati come se fossero stati già raggiunti (o sul punto di esserlo): un patto “riforme-flessibilità”, la nomina di Federica Mogherini ad Alto rappresentante dell’Ue per le relazioni internazionali e la sicurezza. A oggi sembrano ambedue molto lontani. Di norma è meglio non enunciare obiettivi facilmente monitorabili, se non altro per non scoprire le proprie carte di fronte agli altri 27 di cui ciascuno è un potenziale concorrente, ove non avversario.

In primo luogo, non è stato mai precisato cosa si intendesse per “flessibilità”. Se si voleva dire sforamento del parametro relativo al disavanzo pubblico (in termini tecnici rapporto tra indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e Pil), già al suo esordio in Ue, i partner hanno ricordato che nel 2014 l’Italia avrebbe dovuto raggiungere il pareggio di bilancio, mentre ha chiesto (e ottenuto) di spostarlo al 2015 (o al 2016). In materia di debito pubblico, il percorso per raggiungere il 60% del Pil (rispetto al 135% all’ultima conta), richiede almeno un programma di rientro del Governo (approvato dal Parlamento): sinora né in Italia, né nel resto del mondo nessuno lo ha visto.

Tutti gli esperti però hanno visto le stime diramate dai 20 maggiori istituti econometrici internazionali – tutti privati – secondo cui quest’anno il Pil dell’Italia crescerà appena dello 0,1%, il disavanzo supererà il 3% del Pil (e il debito viaggerà verso il 138%), entro la fine del 2014 il tasso d’interesse sui Btp decennali sarà il doppio della media dell’eurozona e la disoccupazione supererà il 14%. Ove ciò non bastasse, in Parlamento c’è un vero e proprio ingorgo; di conseguenza anche le riforme più condivise paiono – agli altri paesi dell’eurozona – di là da venire. Molti si chiedono come in autunno il Governo reggerà l’urto della situazione economica. Quindi, ci vuole uno “stil nuovo”: chiedere umilmente deroghe e consigli su come uscire dall’impasse.

In secondo luogo, il raggiungimento del secondo obiettivo è stato giocato francamente male. Nei negoziati internazionali (e anche in quelli aziendali per posizioni di rilievo) i nomi dei candidati non si rivelano prima, per timore di mettere in serio imbarazzo la persona. Quali che siano i meriti e le debolezze di Federica Mogherini ormai sarebbe in serie difficoltà anche ove ottenesse la poltrona poiché la burocrazie europee (e quelle del resto del mondo cui dovrà trattare) non potranno prenderla sul serio: verrà vista come il frutto di un’impuntatura di un Presidente del Consiglio poco accorto. Ove non ottenesse l’incarico, i problemi che già ha (e sono noti) con le feluche italiane aumenterebbero ulteriormente perché nessuno gradisce di avere direttive da un “perdente”. Renzi farebbe bene a trovarle un incarico nella “galassia Onu”. Se, poi, Massimo D’Alema ottenesse la poltrona per la quale l’Italia ha fatto il diavolo a quattro pro-Mogherini, al danno si aggiungerebbe la beffa. Il Re dei Rottamati sarebbe in una posizione per rottamare il Grande Rottamatore quando prima o poi rientrerà nel suolo natio.