Ci risiamo, lo Stato rimette piede in Alitalia. Anche in quella con Etihad. Il vettore italiano non è riuscito a resistere nemmeno quattro anni senza aver un aiuto pubblico. Dopo lustri in cui le scelte manageriali avevano portato a pesanti passivi ripianati dal Tesoro, tutto sembrava finito nel 2009, quando le ceneri del pesante carrozzone avevano dato vita a Cai: una “privatizzazione” pagata a caro prezzo dai contribuenti. Ma la “spinta” data ai patrioti dei cieli non era stata sufficiente per allontanare lo Stato da Alitalia. L’anno scorso, infatti, le Poste italiane erano state chiamate a versare un “obolo” per mantenere in vita la compagnia italiana: 75 milioni di euro che sembravano ancora una volta l’ultimo prezzo da pagare. Invece no, la società posseduta dal ministero dell’Economia e guidata da Francesco Caio verserà altri soldi, probabilmente 40 milioni, nelle casse di Alitalia. La decisione, già nell’aria, è stata ratificata ieri dal cda dell’azienda pubblica.



Nel 2013 Paolo Sarmi cercò di giustificare l’ingresso di Poste in Alitalia con la possibilità di avviare proficue sinergie. A quasi un anno di distanza frutti non se ne vedono. Ciò nonostante il suo successore insiste sull’opportunità di business offerta dalla compagnia aerea tricolore. Sarebbe forse il caso che si specificassero tali succulenti affari, evidenziandone altresì i ritorni economici previsti. Ma forse non sono questi che vengono ricercati dall’unico azionista dell’azienda.



In realtà, l’unica cosa che sembra accomunare Poste italiane e Alitalia è il grande potere che i sindacati esercitano sulle due aziende, anche se nel vettore tricolore sta via via scemando con il trascorrere degli anni. Si spera almeno che la società di Caio non sia tenuta a garantire per i debiti pregressi di Alitalia-Cai, come invece vorrebbero le banche azioniste: ciò incrementerebbe infatti il rischio di “bruciare” i nuovi soldi freschi dei contribuenti. Rischio che comunque è alto a prescindere, considerando che l’azienda ha chiuso il 2013 con un passivo di quasi 570 milioni di euro e che le previsioni per l’anno in corso non sono più rosee. Senza dimenticare che Etihad prevede di portare il bilancio in pareggio nel 2017.



Insomma, è quasi certo che Poste Italiane possa portare avanti un’operazione (considerando anche i fondi già stanziati) che determinerà una perdita di circa 100 milioni di euro in tre-quattro anni. Non sembra un buon biglietto da visita per una società che vuole sbarcare in borsa e che non si capisce bene per quale motivo ritenga strategico investire in una compagnia aerea e non in altri settori. Sempre che finora non ci siano stati dei ricavi dovuti a questo investimento del quale non siamo al corrente.

A questo punto, dopo le banche di sistema (che ancora esistono visti i denari recentemente spesi in società editoriali o energetiche che non guadagnano un euro), in Italia si intravvede l’arrivo delle “Poste bancomat”, quelle che mettono a disposizione i denari pubblici a chi ha le chiavi del comando, senza che si possa parlare di aiuti di Stato.