La conta dei morti di Gaza, Siria, Iraq e Ucraina è una macabra maschera che copre i veri termini del conflitto in atto a livello globale. Gli attori sono, da un lato, le vecchie potenze euro-occidentaliste che vivono sotto la tutela del cono d’ombra del dollaro e, dall’altro, le altre potenze – vecchie, nuove ed emergenti – che dal 1995 hanno potuto attualizzare i propri arsenali demografico-produttivi ma che sono minacciate dal ricatto monopolistico delle transazioni in dollari. Tema ben conosciuto che la Prima guerra mondiale e poi la Guerra Fredda avevano occultato tra il 1916 e il 1989. Tra il 1995 e il 2001 la Storia ha ripreso il suo corso, dimostrando la fragilità di un mondo, quello occidentale, che si immaginava perpetuo perché superiore e immune dagli altri.
I morti del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’Africa sono l’effetto indiretto della competizione, o meglio dello scontro, tra gli interessi dei petro-gas-dollaristi e di quelli alter-dollaristi. Le vecchie oligarchie petro-dollariste stanno battendosi con ogni mezzo per evitare il tracollo. Gli alter-dollaristi sono i sanculotti dell’era contemporanea, ma, diversamente dai loro predecessori d’antan, possono contare su una rete mondiale sempre più strutturata e integrata nel commercio liberalizzato globale.
I due campi non sono ideologici. Nessuno reclama l’alternativa al capitalismo, ma non vale più solo l’adesione ai vecchi rapporti di interessi. Il pragmatismo e la tattica veloce hanno preso il sopravvento, dall’Afghanistan alla Nigeria.
I petrodollari (reali) sono di chi ce li ha e non di chi ne sfrutta il valore finanziario, cioè la Fed e le banche di Wall Street. Così si spiega l’umiliante accoglienza riservata a John Kerry che per essere ricevuto dal nuovo “faraone” Al-Sisi – forte dei petrodollari (reali) del Golfo – ha dovuto passare il metal detector e il check di sicurezza mentre sperava di ricevere qualche favore nella ricerca di una tregua nella guerra tra Israele e le diverse milizie islamiste di Gaza.
I petrodollari stanno al dollaro di carta come le mele stanno al sidro, cioè senza i primi non si fanno i secondi. Dura lezione di realismo economico e politico che è indigesta per i petro-dollaristi. In aggiunta, i detentori dei petrodollari nulla hanno contro gli alter-dollaristi con i quali sviluppano sempre più fiorenti commerci con clausole che permettono di scambiarsi beni e servizi senza transazioni finanziarie in dollari di carta o elettronici.
La stessa logica è usata dai “sanculotti” islamici che commerciano alacremente con tutti, ma senza usare “l’odiata moneta” (elettronica). Ancora non è chiaro quanto i detentori di petrodollari e i commercianti “sanculotti” stiano eludendo quei pozzi neri finanziari che l’impero dei petro-dollaristi aveva creato – le isole paradiso – per accedere all’uso di nuovi strumenti monetari di scambio. Certo è che i recenti strutturazione e finanziamento (inizialmente l’equivalente di 100 miliardi di dollari) della Banca di sviluppo dei Brics apre possibilità finora inedite. La “resistenza” mondiale ai petro-gas-dollaristi avrebbe adesso uno strumento monetario e finanziario autonomo. Se questo processo di liberazione dai petro-dollaristi potrà procedere si tratterà del più grande evento mondiale dalla “scoperta” dell’America.
Gli alter-dollaristi, la cui avanguardia è costituita adesso dai Brics, da oltre un ventennio pongono la questione del riequilibrio della governance mondiale, strategica, finanziaria e politica. Richieste derise e sicuramente rimaste inascoltate. Invece, dal 1999 a oggi, la risposta dei petro-dollaristi è stata armata, violenta, micidiale e contraria a qualsiasi rispetto delle norme di base del diritto internazionale. Con l’elaborazione della dottrina dell’ingerenza umanitaria e poi della R2P della Nato, una linea di sangue e di bombe unisce il Kosovo e l’Ucraina, passando per le varie “rivoluzioni” colorate e “primavere” che hanno sconvolto paesi e regioni.
La recente convergenza (obbligata) russo-cinese ne è stato il più eclatante risultato. A oggi solo due minori interventi militari della Russia in Georgia e in Crimea hanno reagito all’eccesso di provocazioni dei petro-gas-dollaristi. Nulla di comparabile con le invasioni della Somalia, dell’Iraq e dell’Afghanistan, i bombardamenti in Libia, l’intervento militare francese in Mali e Repubblica Centroafricana, e il colpo di stato perpetrato in Ucraina il 22 febbraio scorso. La bassa reazione militare degli alter-dollaristi non è dovuta alle loro presunte ridotte capacità belliche, bensì alla responsabilità che sentono verso i propri popoli che sono ancora assoggettati al ricatto del dollaro. L’invasione dell’Ucraina avrebbe avuto sicuro successo militare, ma il danno economico e finanziario che i petro-dollaristi avrebbero imposto alla Russia sarebbe stato troppo elevato. Lo stesso ragionamento vale con le continue provocazioni alla Cina nel suo vicinato, dalle Filippine al Vietnam fino alle isolette nel Pacifico.
La reazione militare degli stati opportunisti, com’è Israele, che pur ha sufficienti ragioni per voler terminare una costante aggressione che dura dagli anni ‘70, ai danni di un popolo, quello palestinese, è finalmente tollerata dai petro-dollaristi. Un precedente molto preoccupante e pericoloso per la stabilità mondiale. Un caso di invasione diretta del territorio di uno Stato vicino con finalità che non sono riconducibili neppure alla R2P ma all’annessione e alla sottomissione di un popolo e di una nazione. Dai tempi dell’invasione nazista dei Sudeti, o da quella sovietica in Ungheria e Cecoslovacchia, nessuno più nel mondo si era comportato così. Eppure, prevale il quasi silenzio. Le piroette diplomatiche americane sono irridenti, ma ciò che duole è l’assenza totale dell’Unione europea che si fregia di essere la patria dei diritti. Sostiene di avere una politica estera e di vicinato incentrata sul soft power, sulla cooperazione e lo sviluppo. Eppure, nulla ha saputo fare e nulla ha ottenuto sui suoi insanguinati confini.
(1- continua)