In questi giorni, quando da ogni dove giungono sia le notizie sia i dati sull’arresto della crescita economica in Germania, non posso fare a meno di pensare al gran rumore storiografico di infima qualità che si è fatto in questi mesi in riferimento all’anniversario della Prima guerra mondiale. Potrei fare un lungo elenco di opere, soprattutto di studiosi inglesi e americani (gli europei hanno fatto poco o nulla), il cui tono generale è quello per cui la Grande guerra scoppiò per una sorta di serie di accidenti e fu dunque il frutto di quella che può essere chiamata l’irrazionalità che domina la storia. Tutti vittime, nessun colpevole, dunque. E naturalmente anche la Germania finisce per essere una vittima, cosa che fa rivoltare nella tomba una serie di interventisti democratici e, mi si permetta di ricordarlo, anche di studiosi.
Il più grande di questi è morto nel 1999. Aveva la veneranda età di 98 anni e aveva scatenato negli anni Sessanta un dibattito tanto furioso quanto serio. Si tratta di Fritz Fischer, autore di un’opera fantastica che non a caso si intitolava Assalto al potere mondiale (Griff nach der Weltmacht, 1961). La sua tesi era lineare: fin da dopo Sedan, con l’eliminazione di Bismarck, la monarchia e l’esercito, dominato dagli Junker prussiani, avevano perseguito appunto l’assalto al potere mondiale, e quindi, nella Prima guerra mondiale, esistevano i carnefici e le vittime. Come disse Rosa Luxemburg all’epoca, l’internazionale socialista fallì sui fronti di battaglia: lavoratori amatevi in pace e sgozzatevi in guerra, disse prima di essere uccisa da fanatici nazionalisti tedeschi nel ‘19. E la voce di Benedetto XV non fu udita in primo luogo dai cattolici tedeschi.
Dopo Weimar, la Wehrmacht ricostruì il suo esercito segretamente (sino a un certo punto) nelle steppe staliniane, e com’è noto, sino all’ultimo Stalin e Hitler cercarono un accordo per spartirsi prima l’Europa e poi il mondo, come testimonia il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939. Ogni volta che la Germania fu in difficoltà nella sua storia contemporanea, ossia dopo Sedan, la via d’uscita che essa cercò alla crisi fu sempre lo star da sola, rompere tutte le alleanze con le potenze democratiche, e ricercare una nuova alleanza con la potenza di turno che anch’essa sta da sola e che minaccia tutte le altre. Questa potenza un tempo era l’Urss, oggi è la Cina.
Non è un caso che la signora Merkel abbia alzato la bandiera di un mondo libero dalle intercettazioni degli infami Stati Uniti d’America nel luogo dove la democrazia regna sovrana, ossia nella Pechino patria dei diritti umani e delle alleanze strategiche con tutti. E non è un caso che la Germania – e uso il termine della Germania per indicare come sia unito l’establishment intorno a madama Merkel senza distinzione di colore politico – faccia tutto ciò dinanzi al disegno imperiale degli Usa e al configurarsi dell’accordo transatlantico Ttip. Sia ben chiaro: da quel poco che si conosce, l’articolazione tecnica del trattato è gravemente lesiva degli interessi dell’industria esportatrice verso gli Usa ed esprime bene il tentativo di imporre standard merceologici e tecnici a tutti i partner europei, in realtà adatti su misura solo per gli Usa.
Tutti i possibili alleati sinora tacciono, vista la delicatezza della situazione internazionale, vista la crisi ucraina e quella arabo-israeliana. Invece Der Spiegel e Die Zeit hanno attaccato frontalmente il trattato in sintonia con il mood lanciato dalla signora Merkel. C’è da chiedersi come tutto questo si rifletterà in Europa e come si comporteranno i tedeschi, a cominciare dalla Bundesbank, nei confronti dei problemi crescenti che la deflazione sta creando nel continente. Siamo alla frutta e chi si illude che la Spagna rappresenti un modello alternativo, come si legge questi giorni sulle pagine italiche, deve al più presto buttarsi sotto una doccia per rinsavire.
Il banco di prova sarà l’atteggiamento che la Germania terrà nei confronti di Putin e come si comporterà in merito alle sanzioni che tra mille problemi e incertezze si stanno approntando nei suoi confronti. Quello che è certo è che Berlino non farà quello che deve fare, ossia intraprendere una via radicalmente diversa tanto economica quanto politica: condividere sovranità e abbandonare l’ordoliberalismus; riaprire immediatamente il dialogo con gli Stati Uniti su basi negoziali e diplomatiche. Solo la diplomazia ci può salvare e non c’è più posto per assalti solitari al potere mondiale. Quest’ultimo rischia di finire nelle mani del nuovo Califfato se l’Occidente non ritroverà la sua unità. Russia e Stati Uniti compresi, naturalmente.