Prima con Psa, poi qualcuno ha fatto l’ipotesi di Opel, si è parlato di intesa con Suzuki e ora anche Volkswagen si è aggiunta al coro dei possibili pretendenti. Perché sembra che Fca debba fidanzarsi a tutti i costi per non restar zitella. Ma scommettiamo che il matrimonio tra Peugeot-Citroen – pardon: Psa – e Fiat – pardon: Fca – non si farà? Due aziende che hanno capacità produttive in eccesso non risolvono certo i loro problemi mettendosi insieme. E non c’è motivo per cui né gli Agnelli, né Marchionne debbano entrare in una compagine azionaria complicata dalla contemporanea presenza di una famiglia, dello Stato francese e di un produttore cinese. E a proposito di Cina: per quale motivo i francesi dovrebbero spartire con gli italiani – pardon, italoamericani – un mercato sul quale riescono a piazzare 700mila auto l’anno? E se sono gelosi della propria fetta di torta i francesi, figuriamoci i giapponesi: si parla da tempo di un accordo con Suzuki che aprirebbe a Fiat-Chrysler i mercati dell’Oriente, Cina esclusa. Se ne parla e basta, appunto, perché l’intesa non è mai decollata.
Ma neppure l’ipotesi di un accordo con Opel, ventilata di recente da la Repubblica, non sta in piedi. E non perché i tedeschi abbiano la puzza sotto il naso (seppure non si possa dire che in questi ultimi anni non abbiano guardato gli italiani dall’alto in basso): quelli di General Motors sono forse anche più bolliti dei marchi italiani di Fiat-Chrysler e operano in un mercato asfittico, l’Europa, in un segmento, quello delle auto medio-piccole, dove la concorrenza riduce i margini drasticamente. L’unica attrattiva di Gm per Fca potrebbe essere una riduzione dei costi nello sviluppo dei prodotti e negli acquisti, ma come strategia appare francamente un po’ limitata.
Dulcis in fundo, nel vasto panorama dei pretendenti è comparsa anche Volkswagen. Che rappresenta forse l’ideale complemento da affiancare a Fca. Ma Ferdinand Piech, presidente del Consiglio di sorveglianza e vero padre-padrone del gruppo tedesco, e Sergio Marchionne sono incompatibili, o meglio sono entrambi troppo bravi per raggiungere un accordo che li soddisfi tutte e due, e l’unica strada possibile sarebbe un’Offerta pubblica d’acquisto (Opa), magari anche ostile sulla neonata Fiat-Chrysler. I vantaggi per il Gruppo Volkswagen sarebbero moltissimi. Proviamo a elencarne alcuni in ordine sparso.
I tedeschi di Wolfsburg potrebbero entrare da protagonisti nei mercati del Nord America dove, nonostante l’impegno e gli investimenti, sono ancora dei comprimari. Avere Chrysler, Ram, Dodge in casa significa moltiplicare la rete commerciale e trascinare anche i marchi Volkswagen e Audi. Ferdinand Piech metterebbe le mani su Alfa Romeo, uno dei pochi sogni della sua vita che ancora non ha realizzato. E aggiungerebbe alla sua lista di prede anche due dei marchi più noti al mondo come Ferrari e Jeep. Non è poco per un uomo – Piech – che si è regalato l’intera Ducati per il suo compleanno. I tedeschi con Fiat e Lancia riuscirebbero finalmente a entrare nel segmento delle auto piccole, dove finora hanno registrato solo insuccessi.
Dalla vecchia Fox alla nuova Up, ogni tentativo di fare concorrenza alla 500 o alla Panda è fallito e questo debacle non li rende certo felici. In Brasile l’unione dei due gruppi porterebbe a un gigante capace di avere oltre il 50% del mercato e finirebbe la guerra dei prezzi innescata dalla contrazione recente del mercato. Il Gruppo Volkswagen con Fiat Chrysler sarebbe, poi, di gran lunga, il più grande al mondo con quasi 15 milioni di veicoli venduti, almeno 4 milioni in più rispetto al secondo. Sarebbe presente, in forze, dovunque e in ogni mercato e ogni segmento sarebbe un assoluto protagonista.
Il gruppo avrebbe la bellezza di 24 marchi, se li abbiamo contati bene: Bentley, Bugatti, Lamborghini e Ferrari per le dream car, Maserati e Porsche per le top car, Alfa Romeo e Audi per le premium, Abarth e Srt per le sportive, Jeep per i fuoristrada, Dodge, Chrysler e Volkswagen per le medie, Seat, Skoda, Lancia e Fiat per i segmenti più bassi, Fiat Professional, Ram e Volkswagen Veicoli commerciali per i furgoncini, Scania e Man per i camion e Ducati per le moto. È già un’impresa ricordarseli, figurarsi gestirli, ed è questa l’unica vera controindicazione a un’Offerta pubblica d’acquisto: la complessità di coordinare un paio di centinaia di fabbriche, 700-800 mila dipendenti, quasi un centinaio di centri ricerca e un mercato mondiale che deve essere, per forza, affrontato con strategie locali.
I soldi, invece, non sarebbero un problema: in questi giorni Fiat ha in Borsa una capitalizzazione, ovvero un valore complessivo delle azioni, che, per pura coincidenza, è quasi pari all’utile netto registrato lo scorso anno dal Gruppo Volkswagen. Come dire che basterebbe ai tedeschi non distribuire dividendi e non mettere a riserva denaro per un anno per comprarsi la neonata Fiat Chrysler che in questo momento vale più o meno quando valeva Porsche quando è stata comprata lo scorso anno da Wolfsburg. Anche ammettendo per assurdo un premio del 50% sul prezzo di Borsa, il valore di Fiat Chrysler non supererebbe i 15 miliardi di euro, ovvero un terzo della liquidità che ha in cassa il Gruppo tedesco che nei prossimi cinque anni prevede di investirne 84 solo per sviluppare nuovi modelli tecnologi e impianti produttivi.
Gli impianti di Chrysler negli Stati Uniti sono quasi nuovi, come quello di Pomigliano, quello in Serbia e quello di Grugliasco. La gamma che offre Fca non è nuovissima, ma in alcuni settori, come il metano, ha tecnologie d’avanguardia. Che vengono via per poco.