Tra dire e il fare c’è di mezzo il mare. Sarà per questo che il governo del fare naufraga quando si tratta di dichiarazioni? Su certe cose ci sarebbe poco da scherzare, ma la situazione ha degli aspetti così grotteschi che è meglio sdrammatizzare un po’. Matteo Renzi, che ancora si gode gli elogi e le pacche sulle spalle ricevute dopo il suo bel discorso al Parlamento europeo, la settimana scorsa aveva fatto un annuncio importante da Bruxelles, subito dopo il Consiglio europeo: “Chi fa le riforme ha il diritto alla flessibilità”. Dichiarazioni accolte con grande entusiasmo in patria: il Premier aveva finalmente “rottamato” anche l’austerità tedesca, dopo serrate trattative con Angela Merkel. E il suo Governo, quello delle riforme in 100 e poi 1000 giorni, avrebbe di certo ottenuto questa flessibilità. Ma di quale flessibilità stiamo esattamente parlando?
Non c’è stato neanche il tempo di pensarci troppo, perché il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, ha subito premuto il pedale del freno sugli entusiasmi italiani. Al Financial Times ha infatti detto di non aver sentito “il premier italiano e neppure nessun altro” chiedere più flessibilità nel Patto europeo di stabilità e di crescita. Questa flessibilità è stata chiesta o no? E se sì riguardava i parametri di Maastricht? Una conferma in tale direzione è arrivata da altre dichiarazioni di fuoco giunte dall’estero: il premier olandese Mark Rutte, ai parlamentari del suo Paese, ha spiegato che “all’ultimo vertice Ue Olanda e Germania hanno stoppato il tentativo di Francia e Italia di ammorbidire le regole di bilancio”.
Allora, ricapitoliamo: l’Italia voleva (anche se Schaeuble nega tutto) più flessibilità sui vincoli di bilancio (riguardanti deficit e debito pubblico), ma è stata bloccata da Olanda e Germania. No, un momento, le cose non stanno affatto così. Lo ha detto il sottosegretario alla Presidenza del consiglio, Graziano Delrio, in un’intervista a Il Corriere della Sera. “No, non chiederemo di alzare il 3%” (il vincolo europeo relativo al deficit/Pil). “Scusi, ma allora questa maggiore flessibilità cosa vuol dire?”, chiede il giornalista Lorenzo Salvia. “Vuol dire che quando si calcola il deficit non viene considerata, o meglio viene considerata flessibile, una parte della spesa. […] Può essere fatto per il cofinanziamento, cioè i soldi che l’Italia è obbligata a spendere per utilizzare i fondi europei […]. Ma c’è anche la clausola degli investimenti, che consentirebbe di lasciare fuori dal calcolo spese ad alto impatto sociale”. In totale, stima Delrio, “la flessibilità potrebbe valere 10 miliardi l’anno”.
Tanto per rinfrescare la memoria, queste erano le stesse richieste fatte all’Europa dal “rottamato” Enrico Letta. E giustamente Salvia fa notare al sottosegretario che “l’anno scorso Bruxelles ha detto che la clausola degli investimenti non poteva essere usata dall’Italia”. Ecco quindi che Delrio sfoggia la spiegazione e la soluzione che ha permesso di superare questo ostacolo.
In sintesi, l’Ue aveva detto no perché c’era “una curva di discesa del debito pubblico ancora troppo lenta”. E ora per accelerarla basta usare gli euro union bond proposti da Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio, “cioè la mutualizzazione del debito”. Doppia vittoria a questo punto! Non solo Renzi ha rottamato la rigidità dei parametri di Maastricht, ma ha persino fatto ingoiare ai paesi del nord Europa gli eurobond che respingono continuamente da quasi sei anni!
Ci sarebbe stato da festeggiare, se non fossero arrivate prontamente dichiarazioni che hanno smentito Delrio. Non conteggiare nel deficit investimenti e i fondi cofinanziati? “Non si è ancora discusso in sede europea di misure specifiche”. Verranno utilizzati gli euro union bond? “È una questione complessa, con quel nome si possono indicare molte cose, che meritano una riflessione. Ma si tratta di una questione che non è all’ordine del giorno”.
Ohibò, ma chi sarà questo “guastafeste”? Un altro membro del governo olandese o tedesco? Niente affatto, quelle sopra sono le parole del ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, tratte da un’intervista a Il Sole 24 Ore pubblicata il giorno dopo quella di Delrio sul Corriere. Il che ci lascia supporre che l’esecutivo italiano si muova in ordine sparso. Ma ancora una volta vien da chiedersi: di che flessibilità stiamo parlando? Inutile domandarlo al Premier, che dopo Ulisse e Telemaco potrebbe intrattenerci con un discorso su Dante Alighieri, che da buon fiorentino ama spesso citare.
L’impressione è che tutto questo bailamme, con tanto di membri del governo che si smentiscono tra di loro, serva a nascondere qualcosa. Un’impressione rafforzata dal fatto che più che incassare un sì alla flessibilità, Renzi a Bruxelles il 27 giugno ha portato a casa un secco no, passato sotto silenzio mediatico in patria. Infatti, è stata respinta la richiesta di spostare il pareggio di bilancio dal 2015 al 2016, contenuta nel Documento di economia e finanza 2014. Non si tratta di un no definitivo, ma di certo è preoccupante per gli italiani, e per questo è stato taciuto.
Perché gli italiani dovrebbero preoccuparsi? Padoan, sempre nell’intervista al Sole, ha negato la necessità di una manovra correttiva. Eppure i presupposti ci sono tutti. Se salta il differimento del pareggio di bilancio, come farà il Governo a far quadrare i conti? Certo, può darsi che in quel di Bruxelles Renzi abbia avuto, in cambio del suo voto, delle garanzie da Jean-Claude Juncker sul fatto che il no si trasformerà presto in sì. Ma anche se così fosse, l’esecutivo, come faceva giustamente notare Fabrizio Forquet a Padoan, ha “costruito tutte le previsioni sui conti pubblici sulla stima di un Pil allo 0,8%”. Ma ormai nessuno crede più che tale obiettivo sarà raggiunto quest’anno. Inoltre, Renzi e i suoi ministri si sono impegnati, attraverso la legge di stabilità di ottobre, a stabilizzare il bonus da 80 euro in busta paga, ad ampliarne la platea dei beneficiari e a reperire una parte dei fondi necessari al sesto provvedimento di salvaguardia degli esodati.
Insomma, ci saranno risorse da stanziare per far quadrare i conti e finanziare interventi di equità sociale: basteranno i risparmi ottenuti dal calo dei rendimenti dei titoli di stato per farlo? Francamente c’è da dubitarne. La soluzione, al solito, potrebbe passare da un aumento delle tasse. E Renzi ha già fatto la prima mossa in questa direzione.
Ovviamente, come dimostrato già nel caso dell’imposta sulle rendite finanziarie, la dovizia nella comunicazione è importante per l’ex Sindaco di Firenze, che per questa sua nuova manovra potrebbe avvalersi della “collaborazione” dei suoi ex colleghi primi cittadini d’Italia. Un paio di settimane fa, insieme a quella sull’utilissimo (?) modello 730 precompilato, il Consiglio dei ministri ha varato una norma sulla riforma del catasto. Ciò vuol dire che si arriverà a un aggiornamento dei valori catastali.
Un’operazione di grande giustizia sociale, perché coloro che possiedono una casa in centro città, e quindi più vecchia, non potranno più godere di un valore catastale che magari risale agli inizi del secolo scorso. Per loro si prevede un ritocco all’insù di Tasi, Imu e qualunque altra tassa che abbia come imponibile il valore catastale della propria casa. Difficile credere però che solo gli immobili del centro città saranno interessati da questa riforma, senza dimenticare che una parte dell’aumento peserà anche su chi è in affitto e non solo per i proprietari.
Con un’altra abile manovra (non si aumenta l’imposta direttamente, ma l’imponibile), scaricando per di più la colpa sui Comuni (sono loro a incassare), a cui verranno magari tagliati altri trasferimenti, Renzi sarà riuscito a far pagare più tasse senza aumentarle. Questa sì che è vera flessibilità. Chissà quanti miliardi vale…