Il rapporto debito/Pil italiano è in continua crescita. Inoltre, le azioni a voto plurimo previste dal decreto sviluppo del governo Renzi agevolano la privatizzazione di quote Eni, Enel e Finmeccanica. La novità normativa in vigore dal 24 giugno rende possibile per le società quotate in Borsa introdurre clausole statutarie che “possono disporre che sia attribuito voto maggiorato, fino a un massimo di due voti, per ciascuna azione appartenuta al medesimo soggetto per un periodo continuativo non inferiore a ventiquattro mesi”. In pratica a ciascuna azione non corrisponderà più necessariamente un solo voto, ma uno o due a seconda dei casi, e quindi il governo potrà mantenere il controllo delle società pubbliche anche con un pacchetto di azioni più limitato. Ne abbiamo parlato con Mario Seminerio, economista e direttore del blog Phastidio.net.



Le azioni a voto plurimo saranno uno stimolo a procedere con le privatizzazioni?

Le azioni a voto plurimo sono concepite per agevolare la quotazione di aziende, piccole e medie, che devono cambiare scala dimensionale e aprirsi maggiormente al capitale. Lo ritengo una sorta di salto di qualità dimensionale. L’azione a voto plurimo che è vista cioè come una sorta di incentivo alla proprietà e al controllo attuale per allettare nuovo capitale senza perdere il controllo almeno nella fase iniziale. In caso di cessione di pacchetti a nuovi acquirenti il voto plurimo decade e si torna a un voto per azione.



La crescita del Pil inferiore a quanto previsto farà crescere il rapporto debito/Pil. Ciò rende le privatizzazioni maggiormente necessarie?

Alla luce dell’ordine di grandezza del debito, ritengo veramente velleitario credere che privatizzazioni di pochi miliardi possano fare la differenza. Finalmente se ne stanno accorgendo anche al governo. In una recente intervista il sottosegretario Delrio ha rilanciato gli Euro Union Bond di Prodi e Quadrio Curzio, aggiungendo che le privatizzazioni saranno fatte comunque perché vogliamo uno Stato leggero, ma che le vere leve per modificare in modo significativo il rapporto debito/Pil saranno altre. La posta in gioco in termini di montagne di debito è sempre più grande, e le risorse che si possono raccogliere attraverso dismissioni parziali di patrimonio pubblico sono veramente ben poca cosa, come documentano anche gli esempi di Grecia e Spagna.



Perché le privatizzazioni non rendono quanto ci si aspetterebbe?

Bisogna vedere che cosa si può privatizzare. Nel caso italiano abbiamo numerose partecipate del Tesoro che non fanno altro che produrre perdite, in quanto occultano interessi di altra natura e avrebbero seri problemi a rimanere sul mercato. In quel caso non ci sarebbe da privatizzare, ma da chiudere. Più in generale negli ultimi anni il volume delle privatizzazioni a livello mondiale è calato a causa della crisi, ora c’è molta più liquidità, stanno riprendendo attività di fusione e quindi è possibile che chi ha qualcosa di sostanzioso da offrire possa tornare a vendere.

 

I dividendi di Eni, Enel e Finmeccanica sono importanti per le casse del Tesoro. Conviene perderli?

Se una società è gestita bene e dà un dividendo importante come nel caso di Eni, privarsene è un problema. Allo Stato attuale Eni non è sulla lista dei collocamenti imminenti, in quanto il controllo del “cane a sei zampe” appare blindato. Il caso di Finmeccanica è un po’ diverso, perché si tratta di un conglomerato industriale, quindi con criticità differenti e minori profili di redditività.

 

Il recente flop dell’Ipo di Fincantieri significa che non è il momento migliore per la vendita di quote di società pubbliche?

Ogni operazione fa storia a sé. Nel caso di Fincantieri bisognerebbe valutare meglio, ma è successo qualcosa di problematico ed è insorta una criticità. Il fatto che gli investitori istituzionali italiani e soprattutto esteri, che erano nel consorzio di collocamento, abbiano ritenuto di prenotare una quantità estremamente bassa di azioni è un campanello d’allarme importante. Intanto si tratta di un danno d’immagine per chi ha pianificato l’operazione, la quale è stata inoltre prezzata in modo problematico.

 

(Pietro Vernizzi)

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