Oggi potrebbe essere il d-day per il nuovo Ior, la banca vaticana che dallo scorso anno sta vivendo un processo di enorme rinnovamento sotto la spinta di Papa Francesco e della sua volontà di rendere l’Istituto per le opere religiose un’istituzione più trasparente e più in linea con i criteri regolatori della finanza internazionale. Una missione che è costata già parecchio alla banca, la quale ha dovuto scontare un vero e proprio crollo dell’utile in seguito alla chiusura di molti conti e all’aumento delle spese dovute proprio all’ingaggio di consulenti esterni per rimettere ordine nei bilanci e nell’accountability. Tra le perdite patite dall’istituto, anche un prestito da 15 milioni di euro garantito a un’azienda di produzione di proprietà di un amico del cardinale Tarcisio Bertone, ex segretario di Stato vaticano: si tratta, per l’esattezza, del controvalore dei titoli della Lux Vide in pancia allo Ior, la società di produzione di “Don Matteo”, fondata da Ettore Bernabei.
Dall’aprile dello scorso anno circa 3mila conti sono stati chiusi e oltre 2mila sono stati bloccati come conseguenza del processo di screening delle attività della banca, un danno notevole ma che George Pell, il cardinale australiano chiamato a guidare il segretario per l’economia del Vaticano, ritiene un male necessario: «Stiamo vivendo tempi di grande cambiamenti per la Santa Sede. Stiamo creando strutture più semplici ed efficienti al fine di servire la missione della Chiesa cattolica». A oggi, lo Ior può contare su 17.419 clienti dai 18.900 del 2012, con un utile netto calato dagli 86,6 milioni di euro di due anni fa ai soli 2,9 milioni dello scorso anno, mentre nei primi sei mesi dell’anno in corso i profitti netti sono già saliti a 57,4 milioni: un crollo del 96,7% che non permetterà alla banca, come avviene ogni anno, di girare un contributo al Papa per le sue attività di evangelizzazione, donazione che nel 2013 arrivò a una cinquantina di milioni.
Come anticipato, a gravare sui conti sono stati i costi operativi, saliti a 32,3 milioni dai 23,9 del 2012, parzialmente proprio a causa della scelta di ingaggiare specialisti in management che gestissero la riorganizzazione e la riforma di un’istituzione finanziaria che vive da ormai 127 anni. Alla fine del 2013, il totale degli assets gestiti era di 5,9 miliardi di euro, meno di 2 dei quali in depositi e i rimanenti per mera gestione di investimento: nel 2013, lo Ior ha contributo al budget generale della Santa Sede per 54 milioni di euro. Ma in base al piano di ristrutturazione, finalizzato anche a ripulire l’immagine dell’istituto da decenni di scandali e malagestione, è previsto che lo Ior perda del tutto i poteri di gestione di assets e ritorni alla suo scopo originario, ovvero inviare fondi ai missionari e ai gruppi di fedeli nel mondo.
In un comunicato emesso ieri in contemporanea con il report finanziario annuale, la banca ha imputato il calo dei profitti all’aumento delle spese di gestione, a perdite legate a investimenti proprietari in fondi esterni (un business immobiliare a Budapest rivelatosi non così profittevole) e alla fluttuazione del valore delle riserve auree ma nonostante questo, Ernst von Freyberg, il numero uno dello Ior dall’aprile 2013 e responsabile della supervisione del processo di “ripulitura”, ha detto che «la banca è stata molto più trasparente nell’anno passato». A facilitargli il compito e ad affiancarlo, von Freyberg ha chiamato il gruppo di gestione del rischio Usa, Promontory Financial, il quale ha di fatto gestito la revisione e lo screening di tutti conti correnti, decretando il blocco e la chiusura di migliaia di questi.
Sempre per von Freyberg, il compito non pare terminato, ma sembra aver già portato con sé dei notevoli miglioramenti: «Ci siamo concentrati sul fatto che lo Ior andasse incontro alla regolamentazione finanziaria internazionale, in maniera più sicura e trasparente, in modo da creare delle opzioni per il Santo Padre quando questi sarà chiamato a decidere il futuro dell’istituto. Attraverso questo lavoro, abbiamo creato le basi e un nuovo team che trasformi lo Ior in un servizio reale e funzionale per la finanza cattolica».
Dopo la pubblicazione ufficiale del report, attesa per oggi, von Freyberg potrebbe lasciare il posto ed essere sostituito da un presidente non più pro-tempore ma full-time e il nome maggiormente indicato per questa posizione è quello di Jean Baptiste de Fransuu, ex chief executive di Investco Europe, chiamato a migliorare definitivamente la reputazione dell’istituto in fatto di disciplina finanziaria e a guidare la transizione che porterà lo Ior a integrarsi con la struttura finanziaria del Vaticano.
Oggi, dunque, potremmo saperne di più, visto che – salvo cambiamenti dell’ultim’ora – saranno comunicati i dettagli del piano di riforma definitivo. E se da più parti si parla di scontri durissimi tra il prelato del Papa, Battista Ricca, e proprio il presidente, Ernst von Freyberg, gioverebbe ricordare a tutti che lo Ior non è per sua natura una banca normale e che l’iconoclastia che ne contorna l’attività, al netto degli scandali realmente avvenuti e da condannare, rischia di snaturarne la missione precipua: ovvero, chi grida in nome della trasparenza, magari a buona ragione in molti casi, è bene che ricordi che la segretezza dell’operatività della banca vaticana nasceva come esigenza al fine di far arrivare fondi ai fedeli che risiedevano in paesi i cui regimi non consentivano di professare liberamente la propria fede, anzi perseguitavano chi lo faceva.
Forse non è più questo il caso di oggi e di questi anni, ma attenzione a gettare tutto in nome di una trasparenza che, come vi ho dimostrato negli ultimi anni, non è nel dna di nessuna banca: chi pensa o vorrebbe uno Ior che eroghi credito al consumo e carte prepagate al clientela retail, in nome di una non meglio precisata volontà di condanna preventiva, non fa altro che mentire – in malafede – a se stesso e agli altri.