La crescita economica rende indifferibile l’acquisto, obbligato l’esercizio di consumazione. Per la famiglia, di questi tempi un’impresa. Già, un’impresa costituita da addetti che abitano sotto lo stesso tetto. I familiari senior concorrono con il lavoro a generare reddito; tutti agendo sulla domanda lo spendono. Chi lavora produce merci e servizi, tutti impiegano il tempo libero per acquistare quanto prodotto. Un’impresa che acquista quel tutto trasformando il prodotto in ricchezza. Non paga, dà corso alla consumazione della spesa, magari ingrassando, vestendo alla moda che passa di moda, e perché no sprecando pur di far nuovamente produrre, dare continuità al ciclo produttivo e sostegno alla crescita economica.
Investe nella prole per garantire la riproducibilità tecnica dell’impresa: l’istruisce, la cura, l’assiste, l’attrezza di capitale umano per migliorare la qualità di quella domanda; con la paghetta attrezza la loro capacità di spesa e ne retribuisce l’esercizio. Flessibile quanto basta per stare sul mercato: quando il costo d’esercizio degli addetti riduce il potere d’acquisto viene ridotta la dimensione aziendale; la contraccezione contrae le nascite riducendo la domanda.
Alta la produttività d’esercizio: genera i due terzi del Pil. Bassa la redditività: redditi insufficienti, risparmi allo stremo, debito fuori controllo per tenere il potere d’acquisto e fornire input all’intera filiera produttiva. Ligia al dovere fiscale, sui redditi da lavoro paga fino all’ultimo cent; non paga, accetta di vedere tassato, ancorché non retribuito, l’esercizio di ruolo con l’Iva sugli acquisti e una porzione della Tasi sul consumato.
Encomiabile nell’impiego delle risorse aziendali utilizzate sul mercato per gestire la domanda. Il tempo libero, quello fatto a pezzi, impiegato per acquistare il prodotto, per smaltire il prodotto, trattenuto dai “suggerimenti pubblicitari”; quel che resta per riposare per poi ricominciare. L’ottimismo, lo stesso di chi sbircia di sera il rosso del cielo per sperare buon tempo, che ristora la sete in bicchieri mezzi pieni, quello che acquista senza se, senza ma. L’attenzione, quella necessaria a dipanare le merci, l’informazione sulle merci e smerciare le merci. Il denaro, quello impiegato per acquistare ben oltre il bisogno, oltre la capacità di spesa. Risorse queste, spese, pur esse non retribuite.
Nel sistema circolare della produzione, insomma, tal valore impiegato nell’esercizio del consumare non trova adeguato remunero; ancor meno quando la condizione precaria del lavoro riduce ancor più i margini di garanzia del reddito disponibile, proprio mentre balzi di produttività aumentano quell’offerta di prodotto che necessita di maggiori volumi di domanda.
In sede di bilancio si rischia il crac: i flussi di cassa risultano insufficienti a smaltire l’offerta del mercato, viene alterata la produttività dell’intera filiera di sistema. La crisi, che maledettamente impegna tutti, sta tutta qui!