E così i recenti dati sul Pil italiano spazzano via mesi di tentativi di riforme. Tutta la narrativa ufficiale descriveva (e descrive) le riforme come passaggio ineludibile per stimolare la crescita. Nonostante il buonsenso dicesse una cosa diversa, tutti erano e rimangono impegnati a sostenere la storiella della necessità delle riforme. Nessuna autocritica, anzi. Le uniche critiche sono sul fatto che forse occorreva dare precedenza alle riforme economiche e fiscali. Ma solo riforme, nessuna incertezza sul fatto che sia necessaria più Europa.



C’è qualcuno che sappia rispondere alle più semplici domande? Perché mai una riforma dovrebbe far crescere l’economia? Perché dovrebbe crescere il Pil? Forse perché così un investitore straniero potrebbe investire in Italia? Ma se lo fa è per guadagnarci lui, non certo per far guadagnare noi. E poi, la produzione dove potrebbe trovare sbocco, visto il crollo dei consumi interni in Italia? Nell’esportazione? Ma di quella siamo forse capacissimi pure noi, senza bisogno di investitori stranieri? E non si tiene conto che se in Europa tutti adottano la stessa politica economica, cioè se tutti si mettono a esportare e nessuno importa, allora non esporta nessuno e tutti ci perdono? E allora quale soluzione? A cosa possono servire le riforme, se non a facilitare gli investimenti stranieri in modo che loro (gli stranieri) si possano arricchire con maggiore facilità e con minori rischi (cioè tutti i rischi rimangono a noi)?



Domande scomode, che esigono una risposta, soprattutto dopo che il semestre che doveva essere quello della crescita risulta essere della recessione tecnica, cioè due trimestri consecutivi di Pil in negativo. Senza contare che, su base annua, siamo per ora a -0,3%, in attesa di vedere come finirà l’anno. Il principale documento di belle intenzioni in materia di economia del governo, cioè il Def, prevedeva per il 2014 una crescita del Pil pari allo 0,8%. Ora nel trimestre siamo al -0,2%, e -0,3% su base annua. In base a quel documento il governo ha previsto l’uscita dalla crisi, le entrate fiscali, le spese, la sostenibilità del debito. In base a quel documento, l’Ue ha approvato le politiche economiche e fiscali del governo. Ma ora, con un Pil tendenzialmente inferiore di un 1% rispetto a quelle previsioni, tutti i conti sono destinati a saltare, insieme ai parametri da rispettare. E il primo di questi (visto il recente dato negativo delle entrate fiscali) potrebbe essere proprio il famigerato rapporto deficit/Pil, quello che dovrebbe essere al massimo al 3% e già lo scorso hanno abbiamo pericolosamente sfiorato. Ora che il Pil sta calando, come andrà quel rapporto? Facciamo una scommessa? Vi piace vincere facile?



Cosa ci aspetta lo ha già chiarito Draghi: “Occorre cedere sovranità”. Una frase che, a rigor di diritto, dovrebbe far scattare una denuncia per attentato alla Costituzione, poiché da articolo 1 la sovranità appartiene al popolo e da articolo 11 sono previste limitazioni, ma mai cessioni in nessun articolo della nostra Costituzione. E pure le limitazioni sono previste in condizioni di parità con gli altri stati, cosa che oggi non è, poiché in Germania ogni determinazione dell’Ue è sottoposta alla revisione della Corte Costituzionale per verificare se compatibile con la Costituzione. Com’è ovvio, i tedeschi difendono i loro interessi, mentre noi (insieme ad altri paesi) abbiamo rinunciato a difendere i nostri. Loro continuano a violare i trattati (perché anche il surplus eccessivo è una violazione dei parametri di Maastricht), mentre noi (e soprattutto i nostri politici) continuiamo a tacere.

In tutto questo, continua il martellamento incessante della propaganda dominante a favore del libero mercato. Nonostante l’evidenza storica e del presente, si continua con la diffusione della menzogna. Qui ci tengo a ribadire due passaggi fondamentali, già ampiamente sviluppati nel mio libro “Eurocidio”. Il primo è che la presunta efficienza del libero mercato è scientificamente una menzogna. E lo è per due scienze, quella economica e quella matematica. Per quella economica perché anche con il semplice dilemma del prigioniero (spiegato sufficientemente anche su Wikipedia) si descrive chiaramente una situazione di libero mercato (informazione pari e pari scelta) e un risultato che non è ottimale (non è un “ottimale paretiano”). Quindi il libero mercato, nella sua struttura fondamentale, non è efficiente.

Per fare un paragone, la condizione di compravendita la potremmo descrivere come la condizione in cui si trovarono Usa e Russia durante la Guerra fredda: il comportamento più logico era la corsa agli armamenti, ma non era certo quello più efficiente (come impiego di risorse). Il dilemma del prigioniero dimostra in qualche modo come quello del libero mercato sia un equilibrio di comportamenti, non un equilibrio di efficienza, che è una cosa completamente diversa in tante circostanze. Insomma, il libero mercato non è efficiente, e le potenze economiche e finanziarie ci tengono che non lo sia, perché così il loro guadagno è maggiore.

La cosa è ridimostrata pure da un punto di vista matematico, poiché il mercato economico (e ancora più quello finanziario) è frattale, cioè il prezzo di scambio è composto da gradini, da discontinuità (il prezzo infatti può variare al minimo di un centesimo, non può variare per frazioni di millesimi o di milionesimi di euro), e quindi la funzione di distribuzione sottostante (mi scuso per il tecnicismo, inevitabile in questo punto) è una cosiddetta “legge di potenza”, cioè una legge matematica che favorisce i casi estremi, i casi eccezionali, le grandi oscillazioni. Una legge di distribuzione (per esempio, della ricchezza) che quindi non favorisce l’equilibro e l’efficienza, ma gli eccessi, cioè le grandi ricchezze (e povertà). E una situazione in cui vi sono pochissimi ricchissimi e tantissimi poveri è, oltreché immorale, pure gravemente inefficiente (muore il mercato interno e crolla il Pil, suona familiare?).

E tutto questo è limpidamente confermato dal principio di Pareto, il quale circa cento anni fa scopriva che, invariabilmente, in diversi paesi e condizioni economiche, il 20% più benestante della popolazione possedeva circa l’80% delle ricchezze. Cioè la realtà mostrava che il libero mercato, a causa della propria inefficienza, distribuisce la ricchezza favorendo gli eccessi. Un durissimo colpo per la dottrina liberista (e pure per Pareto). E oggi la situazione della disuguaglianza, anche grazie alla globalizzazione, continua a peggiorare: negli Usa il 40% della ricchezza nazionale totale è controllata dall’1% della popolazione, mentre il 40% della popolazione più povera detiene solo l’1% della ricchezza nazionale. Ma con la crisi le cose sono peggiorate: sono arrivati al 48% della ricchezza nazionale.

“Il denaro deve servire e non governare!” spiega Papa Francesco nella Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (n. 57). E invece noi siamo nel tempo del governo del denaro, del governo della Bce, dove il governatore Draghi chiede e pretende dagli stati la rinuncia alla sovranità, perché così la sovranità l’hanno loro. E continuano a pretendere anche in forza di un dominio culturale costante e imperterrito, nonostante tutti i fallimenti.

Questo è il quadro nel quale si deve muovere la politica italiana. E in questo quadro, i politici attuali appaiono davvero dei nani. Diceva Amartya Sen circa un anno fa: “L’euro è stato un’idea orribile. Lo penso da tempo. Un errore che ha messo l’economia europea sulla strada sbagliata. Una moneta unica non è un buon modo per iniziare a unire l’Europa. I punti deboli economici portano animosità invece che rafforzare i motivi per stare assieme. Hanno un effetto-rottura invece che di legame”.

Come uscirne? Occorre ricordare le parole di Papa Francesco: “Una riforma finanziaria che non ignori l’etica richiederebbe un vigoroso cambio di atteggiamento da parte dei dirigenti politici, che esorto ad affrontare questa sfida con determinazione e con lungimiranza, senza ignorare, naturalmente, la specificità di ogni contesto. Il denaro deve servire e non governare!” (n. 57).

L’alternativa negativa? Proprio novanta anni fa, nel 1924 il partito fascista prese il potere con “libere” elezioni ottenendo il 60% dei voti. La caratteristica che mi colpisce di quella tornata elettorale è che i votanti furono circa il 60% degli aventi diritto. Quella della disaffezione politica è la strada oggi imboccata, una strada che porta a soluzioni pericolose. Dovremmo avere imparato la lezione dalla storia.