“I giornali di agosto sono pieni di progetti segreti del governo. Talmente segreti che non li conosce neppure il governo”. È la battuta su Twitter del premier Renzi, il quale ha smentito così qualsiasi trattativa in sede Ue per rinegoziare il limite del 3% nel rapporto deficit/Pil e i vincoli contenuti nel Fiscal compact. Palazzo Chigi ha inoltre risposto ufficialmente agli articoli usciti sulla stampa nel weekend di Ferragosto, sottolineando che non esiste nessuna iniziativa italiana per dimezzare allo 0,25% l’obbligo valido per i Paesi più indebitati di ridurre dello 0,5% l’anno il saldo di bilancio strutturale. Abbiamo chiesto un’analisi a Giulio Sapelli, docente di Storia economica all’Università degli Studi di Milano.
Per Renzi la regola del 3% nel rapporto deficit/Pil non si tocca. Come fa l’Italia a gestirsi e a cercare la ripresa senza soffocare nei vincoli Ue?
Il fatto che Renzi abbia cominciato la presidenza europea in una situazione di recessione affermando che non si rinegozierà la regola del 3% è un errore dal punto di vista politico. Il significato di questa presidenza avrebbe dovuto essere quello di cambiare le regole. Queste ultime in Europa sono state scritte negli anni ’90 in un momento di altissima crescita, mentre ora ci troviamo in recessione. Qualsiasi persona ragionevole comprende quindi che è necessario rivederle, anche perché dopo tutto non sarebbe la prima volta che ciò avviene.
Quali sono i precedenti?
Francia e Germania all’inizio degli anni 2000 si trovarono in una situazione meno grave di quella attuale, perché a essere in crisi non era l’intera Eurozona, eppure si derogò alla regola del 3% appositamente per venire incontro a Parigi e Berlino.
Se un’altra deroga non fosse possibile, come si farà a uscire dalla crisi?
Uscire dalla recessione senza rinegoziare il 3% e soprattutto senza eliminare il Fiscal compact non è possibile. Se si mantengono queste regole si va verso una stagnazione secolare. Ciò cui stiamo assistendo è un caso di ideologia applicata all’economia: l’ordoliberalismo tedesco ci porterà alla rovina.
Le parole di Draghi sulla necessità di riforme a livello europeo, pronunciate una decina di giorni fa, possono celare una sorta di ambizione segreta del Presidente della Bce di governare l’Eurozona?
Assolutamente no. Da un punto di vista morale ho la massima stima di Mario Draghi, ma è indubbio che il governatore della Bce sia una marionetta dell’oligopolio finanziario americano. Le grandi centrali del capitale statunitense sono molto preoccupate per la situazione deflazionistica che si è creata in Europa. Dietro al governatore della Bce c’è chi lo manovra e detiene il vero potere. Draghi è un “aiutante di campo”, quello che nelle battaglie porta la bandiera del generale combattente, e quindi obbedirà agli ordini che gli saranno dati.
Eppure ultimamente Draghi sembra avere assunto un ruolo di protagonista indiscusso…
C’è un effetto di spettacolarizzazione mediatica molto forte nei confronti degli interventi di Mario Draghi. Il fatto però è che da un lato ci sono i tedeschi i quali vorrebbero che non facesse nulla, dall’altra gli americani che vorrebbero che cambiasse tutto. Ad aggravare la situazione ci sono le dichiarazioni di Renzi, le quali indeboliscono il Draghi “filo-Fed”. È questo l’errore politico, l’assenza di un pensiero strategico da parte del presidente del Consiglio. Una dichiarazione di questo tipo mette Draghi ulteriormente in imbarazzo nei confronti della Bundesbank. Quindi è l’ultima cosa che il nostro premier avrebbe dovuto dire, innanzitutto per la sua stessa sopravvivenza politica.
Che cosa avrebbe dovuto fare Renzi?
La politica è sempre un gioco di biliardo, non è mai un fatto lineare. Renzi avrebbe dovuto “fare da sponda” a Draghi, soprattutto per quanto riguarda le pressioni del grande capitale finanziario americano, che sono positive e in favore dell’Europa. Se gli americani potessero attuerebbero un nuovo piano Marshall, perché sanno che se l’Europa cade nella deflazione sarà un boomerang per gli stessi Stati Uniti.
Secondo lei, la defaillance del premier si spiega con la sua inesperienza?
Renzi non si rende conto che è a Palazzo Chigi anche grazie al fatto che gli Stati Uniti vogliono che sia lì, perché fortunatamente Washington continua a occuparsi dell’Europa del Sud. Se però i poteri finanziari americani perdono la pazienza, cade non solo Renzi ma anche lo stesso Draghi e noi ci infileremo in una recessione secolare.
(Pietro Vernizzi)