Tutti attendono quello che dirà Janet Yellen, presidente della Federal Reserve, anche se tra quanti interverranno al summit di Jackson Hole ci sono anche il governatore della Bce, Mario Draghi, il suo omologo giapponese Haruhiko Kuroda, quello inglese Ben Broadbent e quello brasiliano Alexandre Antonio Tombini. Dal vertice che inizia oggi ci si attendono le linee guida sulle future mosse della banca centrale statunitense. Ne abbiamo parlato con Franco Debenedetti, commentatore politico, imprenditore ed ex senatore.



Che cosa dobbiamo attenderci dal summit di Jackson Hole?

Non è quella la sede in cui le banche centrali comunicano ai mercati i loro interventi. Quella è una sede per comunicare visioni, proporre interpretazioni, stabilire priorità. Ad esempio, si sa che l’intervento di Janet Yellen verterà sul tema del lavoro, da sempre uno dei suoi temi preferiti. È prevedibile che questo orienterà anche gli interventi degli altri relatori.



Dobbiamo aspettarci che la Fed nel 2015 aumenti i tassi d’interesse?

Leggiamo che tra gli economisti intervistati quelli che ritengono che la politica della Fed sia stata fin troppo accomodante, e che sia venuta l’ora di stringere i freni, sono in netta maggioranza rispetto a quelli che hanno opinione opposta. I primi constatano che la disoccupazione è scesa più del previsto, i secondi ammoniscono che le statistiche non tengono conto di quanti hanno smesso di cercare lavoro. Un aumento dei tassi appare comunque una concreta possibilità.

Le decisioni della Fed potrebbero provocare scossoni per la Bce e per l’Eurozona?



Dipende da quali saranno le decisioni, ma in ogni caso “scossoni” mi sembra una parola grossa. Un aumento dei tassi della Fed sarebbe un bell’aiuto alla Bce, che i tassi non li può più abbassare: l’economia europea si basa sulle esportazioni, una perdita di valore dell’euro rispetto al dollaro è quello che sentiamo chiedere da tutte le parti.

Tra le conseguenze ci può essere il fatto che i titoli di Stato Ue perdano appeal a vantaggio di quelli Usa, determinando uno spostamento di capitali dall’Europa agli Stati Uniti?

Quello che determina il comportamento degli investitori è lo stato dell’economia, strutturale e contingente. Ad esempio la crisi ucraina e il rimpallo di sanzioni e controsanzioni ha già provocato un deflusso di capitali. E per quanto riguarda l’Italia consiglio di leggere il giudizio di Bridgewater, forse il più grande hedge fund del mondo, riportato mercoledì da Fubini su Repubblica: lo spread sul Bund è troppo basso, non riflette la situazione di deterioramento del nostro Paese. Quindi guardiamo pure a quello che succede a Jackson Hole, e alle decisioni delle banche centrali, ma non pigliamoli come un diversivo rispetto ai problemi di casa nostra: quelli nessuno li risolve al posto nostro.

 

Ha senso che la Bce adotti politiche di quantitative easing nel momento in cui la Fed rinuncia ad attuarle?

L’Eurozona è la sola area economica in crisi: crescita ancora inferiore alle già anemiche previsioni, disoccupazione, rischio di deflazione. È chiaro che la Bce è sotto tiro. Per alcuni dipende dalla natura stessa della banca, che non risponde a un unico potere politico, ma che è veramente indipendente. Per altri dipende dalla definizione del suo mandato. Wolfgang Munchau sul Financial Times ha attaccato il suo modello economico. Ma c’è un generale consenso che il quantitative easing da noi non servirebbe: “Gli strumenti della Fed non miglioreranno i mali dell’Europa” ha scritto Phillipp Hildebrand, ex presidente della Banca Nazionale Svizzera. I titoli di stato sono già a rendimenti bassissimi, gli altri mercati si cui operare sono da noi molto più piccoli che negli Usa. L’effetto sul cambio sarebbe modesto: meglio se lo fa la Yellen. Per contro il quantitative easing, consentendo ai governi di indebitarsi a costo minore, rischia di offrire ai politici una certa via d’uscita.

 

Lei che cosa ne pensa di questa posizione?

Io continuo a trovare queste discussioni un argomento intellettualmente molto interessante. Ma noi di quei fatti siamo spettatori, anche se spettatori interessati: non siamo noi a influire sul risultato della partita. Guardiamo invece alle partite dove giochiamo noi. Perché la Spagna e fin la Grecia van meglio di noi? I nostri problemi si chiamano lavoro, giustizia, fisco, scuola, sanità. Risolverli dipende da noi, non da Draghi o dalla Yellen. O li risolviamo noi, o non li risolve nessuno.

 

(Pietro Vernizzi)