Il ministero dell’Economia ha reso noto che l’aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (Def) sarà rimandato al 1 ottobre. La motivazione ufficiale è che il governo è in attesa dei nuovi dati Istat sul Pil italiano basati sul sistema europeo di calcolo Sec 2000 che include nel prodotto interno lordo anche attività poco rispettabili ma antiche come il mondo quali prostituzione, contrabbando e spaccio di stupefacenti. Anche se dietro alla mossa del ministero sembrano esserci motivazioni che vanno al di là di una semplice questione tecnica. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.



Rimandare a ottobre la nota di aggiornamento al Def è una scusa per prendere tempo perché il governo è in difficoltà?

Solo in parte. Da un lato ha ragione il governo, perché è inutile fare valutazioni su numeri e cifre che possono cambiare di qui a una settimana. Dall’altro è l’occasione per prendere qualche giorno in più, anche se non molti, che però possono essere la chiave per capire che cosa fare dopo che il Pil del secondo trimestre ha scombussolato le aspettative.



Lei prevede un aggiustamento nella manovra di autunno?

Una manovra in senso tradizionale non è praticabile perché peggiorerebbe la situazione. Le misure di alleggerimento della fiscalità, come gli 80 euro, non sembrano essere molto efficaci. Le manovre recessive al contrario hanno avuto conseguenze molto profonde sull’economia reale. Oggi stiamo ancora subendo le conseguenze degli assurdi aumenti di tasse di Tremonti e di Monti nel 2011, che hanno azzoppato l’economia italiana e congelato la domanda interna. E’ da quelle manovre sbagliate che è iniziata la seconda recessione. Oggi quindi non sono praticabili manovre che vogliano aggiustare i conti pubblici indipendentemente dal ciclo economico.



Quindi secondo lei in che modo è possibile intervenire?

Le regole europee sono assurde e nocive, perché sono state elaborate in una situazione economica totalmente diversa da quella attuale, e l’idea di una recessione così lunga non era nemmeno stata contemplata. Applicate alla lettera, le regole Ue introducono ulteriore recessione e ci allontanano dagli obiettivi per cui sono state fatte. Nello stesso tempo cambiare le regole darebbe un segnale negativo ed è una procedura complicata, e del resto violarle darebbe un segnale ancora più negativo e non è fattibile.

Che cosa si può fare quindi?

Dal momento che le regole Ue si applicano al recinto della pubblica amministrazione, basta restringere questo recinto facendone uscire il più possibile. I singoli Stati possono far uscire da questo recinto dei pezzi di pubblica amministrazione trasformandoli in qualcosa di diverso. Per il nostro Paese potrebbe quindi essere più facile adempiere formalmente ai vincoli Ue senza subirne le conseguenze negative.

 

Può fare un esempio di come potrebbe funzionare questa proposta?

Lo Stato attua un certo ammontare di investimenti ogni anno in infrastrutture stradali e ciò produce un determinato disavanzo. Se a investire fosse invece un ente pubblico che sta fuori dalla pubblica amministrazione, indebitandosi ed emettendo titoli di debito garantiti dal suo patrimonio, ciò non sarebbe più debito pubblico. Per fare un altro esempio, potremmo fare uscire ospedali e Asl dal recinto della Pa, e così quando un ospedale investe non sarebbe più qualcosa da contabilizzare dentro la spesa pubblica.

 

Per il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, va ceduto il 5% di Eni ed Enel. E’ una cifra sufficiente?

Bisognerebbe chiedere a Morando perché non mette sul mercato l’intero pacchetto di controllo di Eni ed Enel, o delle reti fisiche che stanno dentro Cdp, ovvero Terna e Snam Rete Gas. Non si comprende che bisogno ci sia ancora dello Stato imprenditore con tutti i problemi che abbiamo. La quota di minoranza interessa solo al pubblico generalizzato degli investitori, che vogliono mettere le mani sulla redditività del dividendo. Ma se a essere messa in vendita è la quota di controllo l’interesse di un suo acquisto cresce esponenzialmente.

 

(Pietro Vernizzi)