Una spending review da 16 miliardi inserita nella legge di stabilità 2015, grazie a cui sarà possibile rendere strutturale il bonus da 80 euro per chi ne ha già goduto nel 2014. Ad annunciarla è stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, il quale ha aggiunto, riferendosi alle regole Ue: “Non vogliamo essere un caso, non chiediamo sconti, pretendiamo che la flessibilità già prevista dai trattati sia applicata a tutta l’eurozona. Il problema è che l’Ue non può più chiudere gli occhi davanti a quello che sta accadendo”. Abbiamo chiesto un’opinione a Gustavo Piga, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Finalmente nella prossima legge di stabilità arriveranno tagli alla spesa pubblica da 16 miliardi. È soddisfatto?

Parlare di tagli da 16 miliardi non ha senso. Per avere successo nella spending review bisogna guardare a tutti i settori con grande attenzione, e quindi questa scelta richiede tempo. Renzi non ha dato una risposta alla domanda su ciò che pensasse delle presentazioni di Cottarelli. Non sappiamo che cosa c’è nella testa del premier per quanto riguarda la spending review, e questo è un problema.



Secondo lei, di che cosa c’è bisogno?

Sono a favore di un aumento della spesa pubblica virtuosa per tirarci fuori dalle secche di una crisi ciclica. Nel lungo periodo però l’unico modo per fare sì che le imprese ritornino a investire in Italia e che le famiglie ricomincino a consumare è attraverso una spending review seria. Per realizzarla c’è bisogno di un periodo di tempo molto più lungo, oltre che di risorse e personale. Fare 16 miliardi di tagli ora paradossalmente farebbe saltare tutti i conti pubblici. Tagliando a casaccio il Pil del Paese crollerà, e questo farà sprofondare sia le entrare dello Stato sia gli indicatori economici cui guarda l’Europa. Ciò di cui abbiamo bisogno è esattamente il contrario, e cioè un grande cambiamento culturale di lungo periodo.



Se ci vuole tempo come si può fare allora nell’immediato per reperire le risorse necessarie alla legge di stabilità 2015?

Bisognerebbe chiederlo al governo, non a caso stanno venendo fuori dei provvedimenti straordinari come il contributo di solidarietà sulle pensioni. Di fronte a dei vincoli Ue che sono improponibili per l’attuale situazione economica, si inizierà come al solito a tassare a destra e a sinistra. La maggior parte delle manovre di austerità attuate in questi anni hanno comportato o un aumento delle tasse oppure un blocco della spesa lineare. Anche parlare di un ulteriore blocco del rinnovo dei contratti pubblici è un errore.

 

Per quale motivo?

Renzi dice che bisogna investire nell’educazione, eppure gli stipendi dei giovani ricercatori nell’università impediscono di attrarre proprio quelli più bravi. Le cifre sulla spesa pubblica dal 2010 al 2018 rivelano la presenza di tagli in termini reali che vanno molto a fondo. Gli stipendi pubblici dal 2010 al 2014 sono scesi da 172miliardi a 162 miliardi. Tutto ciò non è affatto positivo, perché non è in sé un male che la spesa pubblica aumenti, purché la si usi per le eccellenze.

 

Quindi lei che cosa si aspetta dalla legge di stabilità?

Sarà necessario reperire 15 miliardi, e ciò avverrà attraverso aumenti delle tasse nascosti qua e là nonché con tagli della spesa lineare. In questo modo si sprecherà un anno, proprio mentre entriamo in quello che dovrebbe essere il momento chiave della legislatura.  

 

In che senso?

Quando ci si avvicina alle elezioni non è possibile intraprendere operazioni coraggiose, ma è necessario farle nella fase iniziale, con grandi polemiche ma sulla spinta di un grande consenso elettorale. In questo modo poco prima delle elezioni diventa poi possibile raccogliere i risultati, cercando di non essere troppo restrittivi. La legge di stabilità per il 2015 è la prima manovra di Renzi, e non ce ne saranno altre nelle quali il premier potrà essere così coraggioso.

 

Lei ha detto che sulla spending review c’è bisogno di un grande cambiamento culturale. Che cosa significa in concreto?

Ciò di cui c’è bisogno è una cultura della performance. Occorre riuscire a fare capire alle persone che iniziano a lavorare nella Pubblica amministrazione che il loro lavoro non è un onere ma un onore, e che quindi ci si aspetta che offrano ai cittadini i migliori servizi possibili. Nelle scuole e nelle università pubbliche dobbiamo avere il meglio, non il peggio. I fondi per gli atenei vanno condizionati alla qualità di ricerca e insegnamento. Prima della Thatcher e di Blair, nel Regno Unito avevano i peggiori professori universitari d’Europa, mentre oggi l’università britannica è una vera e propria Premier League dove ogni ateneo si contende i migliori cervelli.

 

Questo cambiamento di mentalità può innescare anche dei conflitti sociali?

Senz’altro, in Inghilterra le manifestazioni di protesta contro la Thatcher e Blair sono andate avanti per cinque o sei anni. In Italia finora non è avvenuto nulla di tutto ciò, ma se si faranno tagli agli sprechi ci saranno enormi proteste, come ci sono state in tutti i Paesi, e qui la forza di Renzi si misurerà con la sua capacità di resistere.

 

(Pietro Vernizzi)