Come avrà fatto ad accorgersene? “Abbiamo sbagliato tutti”, ha sentenziato il nostro illuminato ministro Padoan. “Abbiamo sbagliato tutti”, ma è un pezzo che veniva detto. E poi non cambierà nulla, perché è un pezzo che continuano a sbagliare e non hanno mai cambiato nulla della loro ideologia economica, che ultimamente è stata definita con una sola parola: austerità.



“Abbiamo sbagliato tutti”, ma su cosa? Sulla crescita del Pil? Suvvia, non bisogna farne una tragedia, anche perché ultimamente non ne hanno azzeccata una. Dal 2008 continuano a propinarci la storiella della ripresa che sarà “tra sei mesi, no il prossimo anno” e la cui motivazione oscillava tra tre possibili opzioni: “prima o poi la crisi finirà” (che profondità di pensiero e di cultura!); “ora facciamo le riforme per favorire il libero mercato e quindi vi sarà la ripresa, con gli investimenti esteri”; “la ricchezza complessiva cresce, i mercati crescono e i mercati anticipano sempre di sei o nove mesi la ripresa economica”.



E qui finisce la logica di un discorso illogico. Perché se tutti fanno le riforme e tutti si aspettano gli investimenti dall’estero, non si capisce perché investitori italiani dovrebbero, per esempio, investire in Francia, o quelli francesi in Italia, e così via. E fin quando i mercati finanziari forniranno rendimenti maggiori e rischi inferiori, quelli saranno sempre preferiti agli investimenti nell’economia reale.

E perché mai gli investimenti finanziari forniranno (nelle condizioni attuali) rendimenti migliori e rischi inferiori? Perché la politica monetaria dissennata del sistema delle banche centrali (cioè Bce e banche centrali nazionali), che hanno sempre fornito liquidità in eccesso, non fa altro che gonfiare i mercati finanziari in modo abnorme, per cui essi crescono non perché cresce l’economia, ma perché c’è una liquidità in eccesso che in qualche modo dovrà essere investita. Il grafico qui sotto i miei lettori più fedeli lo hanno già visto numerose volte. Lo ripropongo non solo per in nuovi lettori, ma anche perché tutti noi non si perda di vista quello che è il motore generatore di una crisi che fin dal 2010 (su Il Sussidiario, ma dal 2008 in altri articoli sul web) ho descritto come devastante e molto lunga.



Quello riportato in figura è tecnicamente definito come l’Aggregato monetario M3. Ma qui ci importa la sostanza. E la sostanza è che un aumento di massa monetaria così esplosivo non ha alcuna giustificazione rispetto alla crescita dell’economia reale.Infatti, nell’economia reale stiamo vedendo il fenomeno opposto: una rarefazione monetaria devastante, cioè mancano i soldi; anche per quei lavori e quegli investimenti pubblici che nel medio e nel lungo periodo produrrebbero importanti vantaggi sociali ed economici. Ma proprio questo è l’anello debole dell’attuale architettura finanziaria e monetaria: gli investimenti nei mercati finanziari producono (o sono capaci di produrre) profitti nel breve periodo, non nel medio o lungo. E quindi ogni investitore che ha chiara questa dinamica preferisce investire nei mercati finanziari piuttosto che nell’economia reale.

 

Mettiamoci nei panni di un manager di una banca di investimenti: come investire per ottenere il massimo profitto con il minor rischio? Le banche centrali continuano a stampare moneta in eccesso (l’unico dubbio è quanta moneta in eccesso): cosa fare? Aggiungiamoci pure che la retribuzione di tali manager dipende in maniera significativa dai rendimenti ottenuti (ovviamente nel breve periodo). I migliori manager si conosceranno pure tra loro, avranno frequenti scambi di opinioni. Spesso si scambiano i posti di lavoro. Possiamo immaginare i loro discorsi: “Investi in questo titolo anche tu? Allora lo faccio anche io, così siamo tutti tranquilli che il titolo cresce”. E se lo fanno i grossi investitori, anche gli altri seguiranno e il titolo in questione cresce solo per eccesso di liquidità, non certo per una ragionevole analisi dei fondamentali. Ma questo vuol dire pure che la storiella secondo la quale “se i mercati crescono oggi allora anche l’economia crescerà tra sei mesi” è tutta sballata. E sono almeno sei anni che ci stanno prendendo in giro con questa storia.

E mettiamoci ancora che tutti gli economisti e opinionisti che sostengono le fondamenta di questa storia, cioè la necessità dell’indipendenza delle banche centrali e il dominio del libero mercato sopra ogni altro aspetto, fanno carriera e sono messi nei posti di potere e di prestigio. Ecco perché oggi, in un moto inaspettato di verità, a qualcuno di loro scappa detto “Abbiamo sbagliato tutti”. Una voce dal sen sfuggita, di fronte a una realtà tanto devastante quanto in completa contraddizione con la loro ideologia e le loro previsioni.

Ma chi sono “loro”? Sono sempre gli stessi, quelli che occupano i posti importanti, considerati e venerati nel gotha accademico. Prendiamo, ad esempio, Olivier Blanchard: ora capo economista del Fmi, laureato al Mit e professore ad Harvard. Solo nel 2013 (tutti molto svegli e reattivi, “loro”) si accorge che il “moltiplicatore fiscale” per la Grecia non è più 0,5 come “loro” avevano previsto, ma 1,5. Cosa significa? Significa che “loro” avevano previsto che aumentando le tasse (o tagliando le spese) di 1 punto percentuale avrebbe portato a una diminuzione del Pil dello 0,5%. Quindi hanno costretto la Grecia a tagliare il 2-3% aspettandosi un calo del Pil di poco superiore a 1%. Invece hanno scoperto con orrore che il Pil era crollato di oltre il 4%. Avevano sbagliato i calcoli, non sapevano che in tempi di recessione il moltiplicatore fiscale può variare, e anche di parecchio.

Bene, credete che il ministro Padoan abbia appreso la lezione e abbia modificato la sua strategia? Niente affatto. Perché qui non si tratta di ridiscutere il valore di un numeretto, si tratta invece di mettere in crisi un modello e un’ideologia. Il modello è quello delle banche centrali indipendenti; l’ideologia è quella del libero mercato. E del resto, come potremmo pretendere che Padoan la pensi diversamente da Blanchard? Capo economista dell’Ocse (un altro ente che le previsioni del Pil le sbaglia tutte) dal 2009, è stato consigliere economico del presidente del Consiglio dal 1998 al 2001 (sia con Amato che con D’Alema), proprio quando in Europa si definiva la struttura della Bce. Dal 2001 al 2005 è stato direttore esecutivo per l’Italia del Fmi con responsabilità anche suGrecia e Portogallo. Cioè, quando la Grecia truccava i dati, lui era uno di quelli che giudicava quei dati. A pensar bene, glie l’hanno fatta sotto il naso e lui non se n’è accorto.

E il suo predecessore al Ministero, Saccomanni? Laureato alla Bocconi di Milano ed entrato in Bankitalia nel 1967, sempre per Bankitalia ha lavorato presso la Bce, il Fmi e la Banca internazionale dei regolamenti. Il suo predecessore, Vittorio Grilli, anche lui laureato alla Bocconi, ministro sotto il governo Monti, oggi lavora presso la banca d’affari americana JPMorgan. E Monti? Presidente della Bocconi dal 1994, è stato commissario europeo per il Mercato interno dal 1995 al 1999, poi commissario per la Concorrenza fino al 2004. Ha lavorato per la Goldman Sachs, come Draghi, e per la Coca Cola Company. Membro dell’Aspen Institute, lo è stato anche della Commissione Trilaterale (come presidente) e del Gruppo Bildberg.

In tutti questi anni, questi personaggi (insieme a tanti altri, tra cui Ciampi e Padoa-Schioppa) hanno mantenuto e sostenuto la stessa linea ideologica, quella dell’indipendenza delle banche centrali (dalla politica, ma di fatto non dai poteri finanziari), del libero mercato (sopra ogni cosa), dei parametri di Maastricht e delle politiche di austerità. Il tutto condito dalla rinuncia della sovranità da parte degli Stati. Una linea ideologica sostenuta e finanziata da interessate banche d’affari e da speculatori, ma in contraddizione con la scienza economica e matematica e pure con i fatti storici e i risultati attuali.

Tutti personaggi ideologicamente formati con lo stesso stampino, stipendiati lussuosamente e celebrati mediaticamente:, come fanno a pensarla diversamente? Ora diviene più chiara la frase di Padoan: “Abbiamo sbagliato tutti”. Intendeva tutti “loro”. Ma loro non sono tutti. Ben altri personaggi, di ben altro spessore scientifico e accademico, si erano schierati apertamente contro la moneta unica. Per esempio un certo Krugman, Premio Nobel nel 2008, autore di ben 417 lavori scientifici di rilevanza internazionale. Nel 1998 si esprimeva così: “l’Unione monetaria non è stata progettata per fare tutti contenti. È stata progettata per mantenere contenta la Germania… il pericolo immediato ed evidente è che l’Europa diventi giapponese: che scivoli inesorabilmente nella deflazione, e che quando i banchieri centrali alla fine decideranno di allentare la tensione sarà troppo tardi”. Oppure il celebre economista Martin Feldstein, che nel 1997 così sentenziava: “Invece di favorire l’armonia intra-Europea e la pace globale, è molto più probabile che il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirà conduca a un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa”.

E pure io, se permettete, nel 2010 così concludevo un articolo su queste pagine: “Ma cosa accade invece in questo periodo? Quali sono le politiche economiche proposte? Niente investimenti, ma solo tagli, tagli, tagli. E nessuna capacità di previsione, nessun politico che abbia quel minimo di visione necessaria per accorgersi che con i tagli di oggi stiamo tagliando la crescita di domani, lo stato sta tagliando gli incassi fiscali di domani. Il condannato a morte sta lubrificando la corda con cui verrà impiccato”. Ma se l’avevo capito perfino io, ci voleva davvero tanto?

No, caro ministro Padoan, non ci siamo sbagliati tutti. Si sono sbagliati solo quelli che, invece che guardare la realtà nella totalità dei suoi fattori, l’hanno osservata con gli occhiali di una ideologia. E ancora oggi insistete nonostante i risultati siano sotto gli occhi di tutti, a riprova del fatto che il problema è una visione ideologica. Ma è un vostro problema: il popolo si sta già organizzando per andare oltre e uscire dalla crisi.