Siamo dinanzi all’evidente e forse irreversibile trasformazione delle forme storico-concrete della circolazione capitalistica. La realizzazione del plusvalore ha completamente trasformato il suo volto. Ed è un processo su scala mondiale. Un tempo – più o meno sino alla fine degli anni Ottanta – la realizzazione del tasso di profitto avveniva secondo la classica circolazione del capitale a partire dal luogo di produzione: il circolo denaro-merce-denaro partiva dal lavoro e lì si realizzava il valore che poi trovava – in forme che mai siamo riusciti a definire compiutamente, nonostante il lavoro geniale di Piero Sraffa – la sua trasformazione in prezzi che cristallizzavano lo scambio dell’economia e nell’economia monetaria.
La finanza, come ci aveva insegnato Hyman Minsky, serviva a prendere tempo, ossia ad allontanare le crisi di sovraccapacità produttiva e/o di sottoconsumo, allungando il ciclo capitalistico in base al debito e al debito del debito, vendendolo e ricomprandolo sino alla formazione di quell’irrazionale bolla speculativa che aveva nelle borse il suo punto di cristallizzazione e di riformulazione e di rimodulazione (derivati, ecc.).
Poi le bolle scoppiavano e tutto poteva acquietarsi con le stragi degli innocenti, ossia i disoccupati, i sottopagati, i lavoratori neo-schiavizzati e le stock options dei top manager. Ma un rapporto tra l’economia che volgarmente chiamiamo economia reale e quella che altrettanto volgarmente chiamiamo l’economia finanziaria ancora esisteva. Il tempo e il gonfiamento dei bilanci delle imprese e non solo delle banche, grazie alle involuzioni del capitale finanziario, potevano creare l’illusione che tutto un giorno o l’altro sarebbe ritornato come prima. Certo con il 30-40% in meno del reddito delle classi medie e popolari e invece la vertiginosa crescita della ricchezza accumulata dai manager stockoptionisti in circa un ventennio di creazione dell’economia a debito. In Europa una variante di questo perverso meccanismo è stata in questi anni l’ordoliberalismo teutonico- nordico, che impone assenza di debito pubblico bassi salari, disoccupazione e deflazione mentre il processo sopradetto s’invera.
Ora le cose stanno cambiando. In peggio. È possibile cambiare in peggio. Ecco l’insegnamento di una vita che giunge al declino. La sfera della realizzazione di una ricchezza monetaria che non possiamo più chiamare capitalistica, ma post-capitalistica, ossia eminentemente finanziario- classista, come documenta l’enorme disuguaglianza su scala mondiale in tutti i continenti, assume ora un sorta di reificazione e separazione che assomiglia al processo primitivo di separazione del lavoratore dai prodotti del suo lavoro, come apparve con l’avvento del capitalismo che Ricardo e Smith descrissero prima di Marx.
Ora la finanza trasformata in globalizzazione autoriferita, ossia che circola secondo leggi di trasformazioni proprie governate dai top manager, si avvoltola su se stessa e si separa completamente dall’economia reale. La prova è nella reificazione degli stessi comportamenti degli attori economico-antropoidali di nuovo conio che sono apparsi all’orizzonte in questi trent’anni.
Vediamo un caso concreto. Nei giorni scorsi le borse hanno esultato dopo che Draghi ha annunciato che interverrà per frenare la deflazione. Ma Draghi non ha fatto un bel nulla sinora. Ma annuncia e questo reifica il processo di creazione del valore da creatore di profitto in creatore di super-rendita finanziaria a vantaggio di una cuspide. E ciò avviene col sol tocco di un processo di comunicazione che consente e insieme dà il via a comportamenti che creano ancor più tragedie di basso livello spettacolare, ma di alta pericolosità sociale. E Abe, primo Ministro del Giappone, deve sentire le dure parole del suo governatore della banca centrale che suonano come un verdetto di morte per un’economia che si sarebbe dovuta risvegliare solo grazie all’enorme aumento della massa monetaria in circolazione.
I tassi del debito pubblico italiano crollano e tutti sono ansiosi di guadagnare marginalità finanziarie attendendo la cascata monetaria che in varie forme la Bce dovrebbe scatenare in Europa nonostante gli avvertimenti che ci vengono dal Giappone. Ossia che non basta la moneta per creare merci e per renderle solvibili, ossia per rimettere in moto la crescita. Certo, meglio di nulla! Ma se il sistema sociale non produce contestualmente propensione agli investimenti (perche è l’investimento che crea il profitto e non viceversa) la circolazione e la trasformazione del denaro in merce non si realizza e tutti restiamo al palo.
Si guardi alla Cina: se vi è un Paese che può creare moneta quando e come vuole è la Cina, nazione terroristico-burocratico a capitalismo monopolistico di Stato con liquidità illimitata. Ebbene, il pericolo più grave che oggi la sovrasta non è l’inflazione o la deflazione, ma la bolla immobiliare che rischia di far implodere non solo le shadow banks cinesi impegnate nella moltiplicazione alle stelle di ciò che fu ed è la bolla immobiliare spagnola, ma che pone in pericolo decine di nazioni che esportano nell’impero di mezzo acciaio, rame, laterizio e tutto ciò che serve per creare abitazioni che non abita nessuno e che nessuno abiterà più, con una decadenza che non ha limiti vista l’ampiezza (non la crescita…) demografica della Cina.
Quindi, direte, un rapporto tra finanza stockoptionista ed economia reale continua a esistere. Certo, ma in senso inverso alla crescita e con prezzi sociali tremendi, spaventosi. Le forme anarchiche del capitalismo rimangono, anzi, si accrescono, grazie all’indipendenza tra finanza ed economia reale. È l’interdipendenza capitalistica storicamente concretatasi sino agli anni Ottanta che non funziona più. E non per un fatto tecnico. Si tratta di una trasformazione sociale.
Il nuovo post-capitalismo è sempre, anch’esso, una formazione economico-sociale con rapporti sociali di produzione specifici e oggi determinati da un potere inusitato dei manager finanziari stockoptionisti e dei politici che li servono, con le tipiche mediazioni poliarchiche (l’Europa a dominazione teutonico-nordica è un caso di neo-poliarchia a basso gradiente democratico che sicuramente prolifererà su scala mondiale saldandosi con le dittature terroristiche russo-cinesi). Funziona, il post-capitalismo, solo per creare disoccupati e chiusure delle imprese a migliaia di chilometri di distanza, cosi come capiterà quando la bolla immobiliare cinese esploderà.
È ciò che si prepara in Europa, ma per altra via. I tedeschi ora hanno paura, sono dubbiosi, tremano. Ma non capiscono nulla. Anzi: ottengono la testa di Montebourg che ha osato criticare la loro politica deflazionistica suicida ordoliberalista: è stato cacciato dal governo francese da uno stralunato Hollande che pone il suo capo sotto la scure di una nuova Sedan. In Italia non si riflette neppure su questi problemi. Però si spera e si pensa – o meglio talune minoranze anche governative pensano – come Montebourg. Ma non osano dirlo se non con battute e twitter.
Sono troppo profondi i problemi, del resto, per gli stolidi editorialisti di quello che fu nel secondo dopoguerra il giornale della borghesia e che ora è il quotidiano della sua fine, così come fu ai tempi del diciannovismo che aprì la strada al fascismo. Non è vero che sempre la tragedia, se si ripete, si trasforma in farsa. La tragedia può essere solo peggiore quando la follia – come ci insegna Shakespeare – si diffonde nel mondo.
La realizzazione del profitto capitalistico è l’unica via per ritrovare la crescita, sia esso capitalismo privato, sia esso monopolistico di Stato. La politica dell’austerità europea e dell’iper-finanziarizzazione globalizzata ha impedito e impedisce la realizzazione continua tanto dell’uno quanto dell’altro. Ma le borse brindano per l’annuncio di un povero profeta esausto e che forse non crede alle stesse parole che pronuncia sia da Francoforte, sia da una lontana località degli Usa. Là dove banchieri che ancora credono di dominare il mondo, e che in ogni caso sono assai più consapevoli di quelli europei di cosa sia il compito vero degli economisti, non dormono di notte per il timore di non riuscire a ricreare lavoro.
I nostri, italici ed europei (e quindi non quelli del Regno Unito), invece, dormono tranquilli, narcotizzati da un cinismo che fa paura.