Il governo italiano è pronto a cedere il 5% di Enel e il 4,34% di Eni nell’ottica di un più ampio piano di privatizzazioni. Ad annunciarlo è stato il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, al termine di una riunione con il capo della segreteria tecnica del Mef, Fabrizio Pagani. Le quote dovrebbero essere messe all’asta tra la fine di ottobre e gli inizi di dicembre, e il nostro esecutivo conta di ricavarne 5 miliardi di euro. Ne abbiamo parlato con Antonio Maria Rinaldi, docente di Economia internazionale all’Università di Chieti-Pescara.
Professore, le privatizzazioni di Eni ed Enel sono un fatto positivo?
No. L’Italia si priva di partecipazioni il cui dividendo fornisce un rendimento superiore al debito che si spera di diminuire. Il dividendo elargito è cioè superiore al debito che si viene ad abbattere. Il momento in cui ci troviamo fa inoltre sì che si vada a vendere alle peggiori condizioni. L’Italia d’altra parte ha già dato più di 60 miliardi come forme di sostegno agli altri Paesi europei. Per recuperare pochi spiccioli andiamo a svendere i gioielli di famiglia, quando poi versiamo senza battere ciglio tutti questi contributi ai fondi di sostegno all’Ue.
Il fatto che l’Italia sia costretta a vendere i gioielli di famiglia significa che è con l’acqua alla gola?
Ritengo che il vero motivo sia un altro, e cioè che ci siano accordi segreti tra il governo italiano e la Troika di cui noi non siamo a conoscenza, in base a cui l’Italia ha deciso di privarsi di quote di Eni ed Enel per fare un piacere agli “amici degli amici”.
Perché ne è così convinto?
Perché in questo momento vendere i gioielli di famiglia è folle e non risponde a nessun principio economico. Per comprenderlo basta fare un calcolo molto semplice, e quindi escludo che il governo in questo momento non se ne renda conto.
A chi si riferisce quando parla di “amici degli amici”?
Mi riferisco ai poteri forti cui l’Eni fa sicuramente gola. Investitori istituzionali e partner internazionali fanno pressioni per averne delle quote, e siccome la finanza internazionale fa solo ed esclusivamente i suoi interessi, e non certo quelli del nostro Paese, rientra nei suoi piani il fatto di privare l’Italia di questi beni. Questa operazione, in un momento diverso e con l’Italia con le finanze floride, risulterebbe impossibile, mentre adesso siamo sotto ricatto ed è più difficile dire di no. Ci danno un po’ più di respiro sui conti, ma in cambio ci chiedono una contropartita. Tra le cose che sono chieste all’Italia c’è quella di vendere una quota di Eni ed Enel, che poi non va a finire sul mercato bensì a investitori istituzionali con i soliti nomi e cognomi oppure a partner industriali concorrenti.
Che cosa ne pensa del fatto che le privatizzazioni delle aziende pubbliche con maggiori problemi, come Poste, siano state invece rimandate?
Questo fatto non fa che confermare quello che ho detto finora. Evidentemente gli accordi hanno previsto la cessione di quote di Eni ed Enel, ma non di Poste.
I 5 miliardi ricavati da Eni ed Enel aiuteranno a risanare il debito pubblico?
Il debito pubblico aumenta ogni mese tra gli 8 e i 9 miliardi. L’Italia vendendo partecipazioni Eni per 5 miliardi sarà a posto soltanto per 15 giorni, quindi tanto vale tenercele in attesa che salti tutto.
In che senso che salti tutto?
Mi riferisco all’implosione dell’area euro, un evento che mi aspetto per il prossimo futuro, e che rende ancora più consigliabile il fatto di tenerci stretti i gioielli di famiglia. Io sono convinto che l’area euro presto o tardi imploderà per fatti indipendenti dall’Italia.
E quindi?
Proprio perché gli investitori internazionali lo sanno bene, vogliono fare i saldi di fine stagione con l’Italia: siamo diventati l’outlet del mondo e vengono qui a fare shopping a prezzi scontati. Anche perché poi una vendita è per sempre, e ricomprarci le quote Eni una volta cedute sarà impossibile. Ci priviamo di quote di aziende che fanno parte del Dna dell’Italia.
(Pietro Vernizzi)