La speranza è che siano solo avvisaglie cui non farà seguito l’assalto. Il sistema bancario dei paesi periferici è di nuovo nel mirino e i bassi volumi agostani potrebbero facilitare il compito a chi intende prendere profitto dai conti tutt’altro che lusinghieri che alcuni istituti stanno presentando in questi giorni, scatenando sell-off. E per capire la portata di quanto sta accadendo, al netto dei rimbalzi da gatto morto della Borsa, c’è il fatto che ieri la Financial Conduct Authority, il controllore della City, si è uniformata alle decisioni dei suoi omologhi italiano e portoghese rinforzando il bando sulle vendite allo scoperto su Banco Comercial Portugues e Banco Popolare Emilia Romagna, i cui titoli negli ultimi due giorni erano finiti sulle montagne russe, in contemporanea con il -14% di Banco Popolare di giovedì dopo la presentazione dei conti (ieri +10% dopo il bando allo short selling imposto dalla Consob, ci piace vincere facile).
Insomma, la dimostrazione che il caso Banco Espirito Santo rappresentava qualcosa di sistemico è plasticamente sotto i nostri occhi: per Michael van Dulken, capo dell’ufficio studio alla Accendo Markets, «le paure che cominciano ad attanagliare i mercati finanziari a livello globale stanno alimentando il panico riguardo lo stato di salute di alcune banche, soprattutto nell’Europa del sud. Se prendiamo in esame l’argomento del contagio a livello più ampio, non possiamo che dire come Italia e Portogallo siano le nazioni messe peggio a livello di gestione interconnessa degli istituti. Possiamo più semplicemente dire che non si capisce chi detiene cosa. È come per Banco Espirito Santo, nessuno sembrava sapere chi dipendesse da chi, chi fosse al timone e chi invece fosse all’amo». D’altronde, quando – come in Italia – si ha a che fare con banche gestite e controllate da fondazioni di nomina politica, il disastro non può che essere dietro l’angolo.
Prediamo ad esempio Monte dei Paschi di Siena e Carige, istituti i cui titoli in Borsa si stanno letteralmente sfracellando al suolo, entrambe sono vicinissime al prezzo di sottoscrizione dei recenti aumenti di capitale: siamo a 1 euro per azione per il Monte dei Paschi e a 0,1 per azione per Carige. Cosa sta succedendo? Per Monte dei Paschi una spiegazione, almeno per il -7% di ieri, c’è: il titolo è stato oggetto di forti vendite dopo che la banca ha archiviato il primo semestre con una perdita di 353 milioni di euro e il secondo trimestre con un rosso di 179 milioni, decisamente superiori alle attese degli analisti (78 milioni nel secondo trimestre). L’azione, sospesa per eccesso di ribasso a seguito di un minimo a 1,01 euro, nuovo livello più basso dell’anno (0,9436 euro il minimo assoluto toccato il 19 dicembre 2013), quando è tornata agli scambi ha subito perso il 7,87% a 1,054 euro con oltre 56 milioni di pezzi passati di mano in metà giornata di contrattazioni. Anche in questo caso, a causa della volatilità osservata sulle azioni, Consob ha deciso di vietare le vendite allo scoperto fino al prossimo lunedì 11 agosto.
La principale sorpresa negativa dei conti ha riguardato il margine di interesse (-7% trimestre su trimestre), cui vanno uniti gli accantonamenti per perdite su crediti superiori alle attese (731 milioni) con un costo del rischio di 220bps, contro 160bps previsto, mentre l’impatto del deleveraging (-42 milioni di euro), unica nota positiva, è risultato decisamente sopra le attese e ha più che compensato la riduzione del costo del funding (solo +7 milioni). Insomma, c’è poco da stare allegri in un Paese dove – dati ufficiali resi noti ieri da Banca d’Italia – gli istituti detengono ancora 399 miliardi di titoli di Stato in portafoglio: certo, con lo spread a 180 non c’è ragione di panico immediato, ma non è detto che durante il mese di agosto quel differenziale resti tale.
E non tanto per un attacco speculativo, ma perché Mario Draghi lo ha detto chiaro e tondo giovedì: occorre che i paesi non in grado di procedere con riforme strutturali cedano sovranità all’Europa. E cosa ha risposto Matteo Renzi a queste parole? Ha applaudito, dicendo che sono giuste. E allora uno si chiede: non è che l’abolizione del Senato sia un atto meno formale di quel che sembri, ma bensì il viatico verso una struttura più leggera da governare, soprattutto dall’esterno? Perché con 800 miliardi di spesa pubblica, non penso siano i quattro spicci che ci costa il Senato il nodo risolutore per abbattere lo stock di debito. Certo, la correzione dei corsi azionari è in corso per tutti, il Dax tedesco ha già perso il 10% dai massimi ma quanto accade in Italia è strano.
Prendete ad esempio Fincantieri, quello che doveva essere il progetto pilota delle privatizzazioni targate Renzi: bene, è già sotto del 14% rispetto al prezzo di collocamento e queste perdite le sta scontando tutte il parco buoi dei piccoli investitori, quelli fregati dai promotori e gestori delle banche, visto che poco prima dell’Ipo gli investitori istituzionali sono scappati tutti a gambe levate. Torneranno quando il prezzo sarà davvero da saldo, per mangiarselo in un boccone? Non voglio essere complottista a tutto tondo, le banche di cui ho parlato prima hanno conti disastrati e management da mani nei capelli nella maggior parte dei casi, quindi se i ribassisti le mettono nel mirino fanno bene, si chiama libero mercato. Però ci sono troppi segnali in questi giorni e poi quelle parole così nette di Mario Draghi sulla cessione di sovranità, concetti che alla vigilia di un autunno che prepara una manovra correttiva devastante dovrebbero farci pensare.
E se si arrivasse al punto di dover scegliere: default o troika? Ci siamo già stati, non arrivò la troika ma arrivò Mario Monti, il suo esecutore testamentario in loden. Stavolta potrebbe essere diverso, anche perché a Palazzo Chigi c’è uno che ha applaudito alle parole di Mario Draghi e che lentamente sta sempre più esautorando il suo ministro delle Finanze, quel Pier Carlo Padoan che giorno dopo giorno appare sempre più nell’angolo e depotenziato.
Sbaglierò, ma temo che nulla di quanto accaduto finora sia accaduto a caso. Quest’estate sarà davvero interessante. E, forse, da ritenersi storica per l’assetto di questo Paese. È inutile farsi troppe illusioni, con la ratio debito/Pil che abbiamo, siamo già tecnicamente falliti: qualcuno verrà a ricomporre in qualche modo il puzzle. Portandosi ovviamente a casa le tessere migliori e quelle meno rovinate. Tanto, i tg si limiteranno a dirvi se Piazza Affari ha chiuso in positivo o negativo…