Il Re è già nudo. Dopo l’euforia di giovedì scorso, quando i mercati festeggiarono con rialzi irrazionali le parole di Mario Draghi, la realtà comincia a farsi largo: il piano della Bce non cambierà nulla a livello di dinamiche fondamentali, ovvero la riattivazione della trasmissione del credito.
Per più di un motivo. A detta di Andrew Roberts, capo analista del credito a Rbs, “questo è l’ennesimo giochino messo in campo dalla Bce, lo stesso che vediamo da tre anni a questa parte. E’ tutto fumo, un gioco di specchi all’atto dell’annuncio ma quando si passa all’analisi reale di quanto contenuto, ci si rende conto che non c’è proprio nulla di quanto ci si attendeva”. In effetti, le nuove misure aggiungono ben poco a quanto già annunciato in giugno e, oltretutto, il poco di più che è formalmente presente pecca non poco di dettagli operativi, rinviati dallo stesso Draghi alla riunione del 2 ottobre. Nelle parole del numero uno dell’Eurotower, il bilancio della Bce verrà ampliato al livello del 2012, circa 3,1 triliardi di euro, ovvero un aumento di un triliardo, ma la gran parte di questa estensione avverrà in forma di prestiti alle banche attraverso la cessione di collaterale, quindi nulla che carichi di rischio lo stato patrimoniale della Banca centrale e un qualcosa di molto differente da un reale programma di QE.
Sempre Draghi, poi, ha parlato di una cifra attorno al triliardo di euro per quanto riguarda le due aste TLTRO ma ci sono delle criticità: primo, a questa cifra vanno sotratti i pagamenti per il denaro ottenuto dalle prime due aste LTRO da parte delle banche e secondo, per Nick Matthews di Nomura, gli acquisti di ABS, bond legati a mutui e covered bond attualmente si aggirano attorno ai 450 miliardi di euro, una cifra ben più bassa. Presa in questa prospettiva stiamo parlando, spalmando gli acquisti su tre anni, di 12,5 miliardi al mese, qualcosa di ridicolo e che di fatto non comincerà se non alla fine di quest’anno, nella migliore delle ipotesi: e se il QE ha una funzione è proprio quella di operare attraverso l’effetto di massa critica, ovvero deve partire subito e al massimo della forza per rompere il circolo vizioso.
Qui ci sono tanti annunci e poco più. Giusto per dare un’idea, Marcel Fratzcher del DIW Institute tedesco ha chiesto acquisti pari a 60 miliardi di bond sovrani ogni mese, qualcosa come lo 0,7% del debito totale dell’eurozona e di fatto una cifra abbastanza in pari con gli acquisti della Fed. La Bank of Japan, poi, sta acquistando assets per 55 miliardi di euro al mese per cercare di sconfiggere la deflazione, una cifra che se aggiustata sul criterio della ratio del Pil equivarrebbe a 140 miliardi di acquisti mensili nell’eurozona, ovvero dieci volte la cifre su cui sta operando e ragionando la Bce. Per Roberts di RBS, quindi, quanto annunciato dalla Bce “semplicemente non ha senso, tanto più che si parla di acquisti limitati ad asset di alta qualità. Così facendo non si aiutano certo le banche a ripulire i bilanci dai crediti più scadenti e difficoltosi, quindi non le si mette in condizione di riattivare il credito a imprese e famiglie”.
Ma c’è ancora di più, c’è la ragione principale per la quale il piano di Draghi è destinato a fallire miseramente: non c’è abbastanza collaterale, ovvero assets eligibili presso la Bce, per poter fare la differenza, ovvero ottenere acquisti – e quindi denaro – per riattivare i meccanismi di trasmissione del credito.
Prendiamo gli ABS, i prestiti cartolarizzati che dovrebbe garantire la marcia in più all’operazione della Bce: bene, si tratta di un mercato – per quanto riguarda l’eurozona – da 1,2 triliardi che si è contratto di oltre il 40% dal 2010 ad oggi, proprio per le sempre più stringenti regole imposte dalle varie istituzioni europee in nome della lotta a quel debito che sta facendo incancrenire la crisi finanziaria. Si tratta, tipicamente, di prodotti acquistati da fondi pensione, assicuratori e banche che li tengono fino a maturazione: bene, dal suo quartier generale all’Aja, la Aegon Asset Management, uno degli operatori più attivi sul mercato ABS e con asset in gestione per 240 miliardi di euro, fa sapere a Draghi che “per acquistare un miliardo di ABS ci sono voluti tre mesi, quindi quando sentiamo che i numeri che circolano attorno agli acquisti della Bce sfiorano i 500 miliardi, ci viene da chiedere, da dove li farà saltare fuori? I bond già esistenti, infatti, non sono disponibili, quindi non resta altro alla Bce che chiedere alle banche di crearne di nuovi”.
Per Patrick Janssen, fund manager alla M&G Investment di Londra, “la mossa della Bce è teoricamente buona ma bisogna stare attenti a non alienare chi già oggi opera sul mercato degli ABS, c’è il rischio fondato che chi investe come noi si trovi chiuso fuori dal mercato”. Anche perché i dati parlano chiaro: il mercato europeo degli ABS è calato a 74 miliardi lo scorso anno dal picco di 325 miliardi del 2007, circa un calo dell’80% stando a dati di JP Morgan Chase: di più, Citigroup stima che quest’anno soltanto 13 miliardi di euro di bond pubblici disponibili sul mercato sia legato a prestiti verso piccole e medie imprese, la categoria che più interessa riattivare a Draghi.
Insomma, la situazione attuale ci dice che la Bce non solo non ha ancora un piano operativo per gli acqusti di ABS e che sarà costretta ad affidarsi, come ha già fatto con Blackrock, ad agenzie esterne per operare sul mercato ma lo farà, di fatto, in totale assenza di collaterale esigibile, a meno che, come già fatto in passato, non cambi le regole in corsa e accetti anche la carta da parati, quindi ABS non investment grade, di fatto ciò che servirebbe davvero alle banche per ripulire i bilanci. Anche perché nei suoi piani iniziali, la Bce intendeva acquistare solo bond assicurati nella categoria senior e nel loro segmento meno rischioso, oltretutto in “porzioni” ridotte, la cosiddetta “mezzanine part”, sempre che i governi offrissero una garanzia. Peccato che per ottenere l’effetto sperato l’Eurotower debba comprare le parti junior delle securities, visto che banche e assicurazioni che detengono bonds devono accantonare più capitale per assicurarsi sulle perdite eventuali delle porzioni junior degli assets.
Insomma, comprare il segmento senior non è una soluzione per il semplice fatto che non elimina il rischio dagli stati patrimoniali delle banche, visto che con l’attuale regolamentazione gli istituti devono detenere la parte junior: in parole molto povere e affrontando l’argomento che più ci interessa, se la Bce non cambia modus operandi e non amplia i suoi acquisti anche a questa categoria, di fatto non ci sarà nessun effetto di sollievo per bilanci bancari e quindi nemmeno rinnovata propensione all’erogazione di credito all’economia reale. Insomma, l’ennesimo bazooka di Mario Draghi si è già rivelato una pistola ad acqua. E la Borsa lo ha già capito, vedremo quanto ci metteranno lo spread e il cambio euro/dollaro.