Quando si dice, poche idee ma confuse. L’altro giorno sono state approvate dai 28 Stati europei le nuove sanzioni contro la Russia, ma se da un lato la Commissione europea ha già ribadito che le sanzioni saranno “reversibili”, quindi potranno essere sospese o ritirate se la situazione in Ucraina migliorerà e se la Russia darà prova di agire a favore dell’allentamento delle tensioni, favorendo una soluzione politica della crisi, dall’altro l’entrata in vigore delle stesse è stata posticipata per valutare l’evolversi del cessate il fuoco ed eventualmente evitarne l’implementazione. Della serie, facciamo i duri ma l’inverno si avvicina.
Vediamo un po’ nel dettaglio l’ultima tornata di misure suicide votate dall’Ue. Tra le nuove sanzioni, compaiono subito restrizioni all’accesso ai mercati dei capitali europei per le grandi società energetiche russe, ovvero Rosneft, Transneft e Gazprom. Le tre società rientrano, infatti, nei criteri per le restrizioni ai finanziamenti di mercato per le banche (nel mirino cinque banche statali, tra cui Sberbank e Vtb Bank), le imprese del settore difesa ed energetiche controllate dallo Stato nella misura superiore al 50%. In pratica, gli investitori Ue non potranno acquistare obbligazioni e azioni di tali società e concedere prestiti.
Nella lista nera ci sono anche poi Opk Oboronoprom, United Aicraft Corporation e Ural Vagonza Vod, e nove società del settore civile/militare: Jsc Sirius (optoelettronica per scopi civili e militari), Ojsc Stancoinstrument (ingegneria meccanica), Oao Jsc Chemcomposite, Kalashnikov (armi leggere), Jsc Tula Arms Plant (sistemi militari), Npk Tchnologii Mascinostrojenija (munizioni), Oao Wysokototschnye Kompleksi (sistemi anti-aerei e anti carro), Oao Almaz Antey (armi e munizioni), Oao Npo Bazalt (armi e munizioni). Più nel dettaglio, nel documento del Consiglio europeo è indicato che saranno proibite l’acquisto diretto o indiretto e la fornitura di servizi di investimenti o assistenza per l’emissione di bond o strumenti finanziari simili con una scadenza superiore a 90 giorni emessi dal primo agosto al giorno in cui entreranno in vigore le nuove sanzioni e a 30 giorni per quelle emesse successivamente dalle più importanti banche o istituzioni finanziarie di sviluppo di proprietà pubblica per oltre il 50% o sotto controllo statale, da entità stabilite fuori dalla Ue possedute dalle stesse società.
Stop anche all’acquisto o alla vendita e alla fornitura di servizi o di ogni altra transazione avente per oggetto bond e azioni con una scadenza superiore a 30 giorni da parte di entità stabiliti in Russia impegnate e con maggior attività nella concezione, nella produzione, nella vendita o nell’esportazione di servizi o equipaggiamenti militari eccetto quelle entità attive nei settori spazio ed energia; entità stabilite in Russia che sono controllate dallo Stato o per oltre il 50% di proprietà pubblica con asset superiori a mille miliardi di rubli e quelle il cui reddito deriva per almeno il 50% dalla vendita e dal trasporto di greggio o prodotti petroliferi.
Proibite poi vendite, acquisti, trasferimento o esportazione di prodotti di uso duale (civile e militare) e tecnologia da parte degli Stati Ue o dai loro territori, anche attraverso l’uso dei loro aerei o navi, che provengano dai loro territori. Vietati l’assistenza tecnica, i servizi di brokeraggio e la fornitura, la produzione, la manutenzione e l’uso di tali prodotti e della tecnologia a favore dei soggetti colpiti dalle sanzioni. Stop anche alla fornitura di servizi per l’esplorazione e la produzione petrolifera artica e i progetti russi di petrolio da scisto (a meno che si tratti di operazioni di prevenzione urgente o per fronteggiare situazioni che hanno un impatto significativo per la salute umana e la sicurezza dell’ambiente).
E la Russia? Ha reagito di par suo, da un lato rafforzando il commercio bilaterale con la Cina denominato in yuan o rubli, alla faccia del presunto isolamento russo. Il vice-primo ministro, Igor Shuvalov, ha infatti firmato un accordo di cooperazione economica con il suo omologo cinese, Zhang Gaoli, in base al quale le banche russe potranno aprire conti in quelle cinesi e così permettere alle aziende della Federazione Russa di ottenere finanziamenti. Ma non solo, l’azienda cinese CNPC sta per acquisire il 10% degli impianti petroliferi di Rosneft a Vankor, l’asset di produzione più grande del gigante russo, per 1 miliardo di dollari e inoltre la ferrovie russe stanno per ottenere un finanziamento da 400 miliardi di rubli da investitori cinesi, capitanati dalla potente China Development Bank, per la costruzione della linea ad alta velocità Mosca-Kazan.
Quindi, le sanzioni possono essere tranquillamente aggirate via Pechino o Hong Kong come veicolo di investimento. Ma dall’altro lato, per bocca del premier in persona, Dmitry Medvedev, la Russia ha minacciato una “risposta asimmetrica”, come per esempio, la chiusura del suo spazio aereo, una vera e propria tragedia per le linee aeree che andranno incontro a dilatazione dei tempi di volo e aggravio molto pesante dei costi. “Noi agiamo sul presupposto di reazioni amichevoli con i nostri partner, e questo è il motivo per cui il cielo sopra la Russia è aperto ai voli. Ma se subiremo delle sanzioni dovremo rispondere”, ha spiegato Medvedev, sottolineando appunto che alcune compagnie aeree occidentali potrebbero andare in bancarotta se venisse loro vietato di usare lo spazio aereo russo: “Vorrei solo che i nostri partner si rendessero conto che le sanzioni non aiutano a ristabilire la pace in Ucraina”, ha concluso il premier.
Insomma, prima di far entrare in vigore le sanzioni, meglio pensarci bene. Anche perché la ragione che ha portato l’Europa a flettere i muscoli con Mosca, oltre all’ormai nota sudditanza ai diktat di Washington, è stata una mossa sulla cui astuzia resta molto da discutere. Per evitare uno scenario napoleonico da “guerra d’inverno”, i governi europei hanno infatti pompato un volume record di gas naturale nei loro impianti di stoccaggio, al fine di garantirsi approvvigionamento per i mesi più freddi a fronte del rischio di chiusura dei rubinetti da parte di Mosca e anche sperando così di bloccare i cashflows delle aziende russe, limitarne le capacità di finanziamento sui mercati e di fatto mandare in tilt l’economia del Paese bloccando il driver del Pil, ovvero l’export energetico. Guardate questo grafico:
La linea blu ci mostra i flussi medi giornalieri di gas che transitano a Velke Kapusany, sul confine tra Ucraina e Slovacchia, principale punto di passaggio del gas dalla Russia all’Ue: come vedete, nell’ultimo mese ha subito un crollo record, stando a dati dell’operatore slovacco Eustream AS, che parla di livelli tornati al 2011. L’istogramma rosso, invece, ci mostra il volume record di gas pompato dai 28 Paesi nei loro siti di stoccaggio, livelli mai toccati stando al gruppo Gas Infrastructure Europe di Bruxelles, pari al 92% di disponibilità massima dei siti di stoccaggio slovacchi.
Ad oggi, il flusso di gas naturale dalla Russia all’Ue non è stato intaccato dalla crisi ucraina e la mossa europea sembra garantire tranquillità per i mesi a venire e potenzialmente mettere alla fame i giganti energetici, un qualcosa che porrebbe Putin sotto pesante pressione.
Ci sono però tre criticità, al netto della cooperazione russo-cinese che potrebbe garantire comunque finanziamenti alle aziende della Federazione russa. La prima, un inverno più freddo del normale, cosa già preventivata dal cosiddetto El Nino pattern, a detta del quale già oggi possiamo pensare ad almeno 4-5 gradi di meno di un normale inverno europeo ma con la possibilità nell’Europa del Nord e centrale di “brutali abbassamenti della temperatura”. Insomma, siamo pieni di gas ma potremmo doverne usare molto di più rispetto al tiepido inverno dello scorso anno che garantì un risparmio sugli stoccaggi pari al 40% del totale.
Seconda criticità, la Russia ha già detto chiaramente che garantirà supporto finanziario alle aziende colpite da sanzioni. Il governo, infatti, si è detto pronto a offrire 1,5 triliardi di rubli per finanziare Rosneft e mantenere la produzione al livello attuale, anche al netto del continuo calo del prezzo del petrolio. Inoltre, nonostante si venda in giro la vulgata in base alla quale le sanzioni partiranno più avanti per valutare la tenuta della tregua e il comportamento di Mosca, Gazprom sarebbe già pronta a un piano di finanziamento prima della loro implementazione e si sa che già molte banche europee si sono dette pronte a garantire linee di credito: addirittura, sappiamo già che Gazprom deciderà sul da farsi nella riunione del board che terrà il 23 settembre prossimo.
C’è poi una terza criticità, ovvero il fatto che se si andrà per le lunghe con il conflitto, Putin potrebbe mostrare un’altra volta al mondo una delle sue più grandi doti, ovvero la pazienza: aspettare che le riserve europee finiscano, l’inverno termini e poi chiudere i rubinetti proprio quando il comparto industriale tedesco ha più necessità di energia. Guardate quest’altro grafico:
Ci mostra la dipendenza dei Paesi europei dall’export russo come percentuale delle necessità totali di gas naturale. Con il suo 35,7%, la Germania è certo messa meglio di molti Paesi dell’Est praticamente dipendenti in toto dall’import ma è comunque una percentuale importante, soprattutto se la ripresa dovesse attivarsi e il comporto industriale riprendere forza dopo l’attuale livello di recessione: sicuri che queste sanzioni, ancora una volta, non siano solo un boomerang a tutto detrimento dell’economia europea e a tutto vantaggio di quella Usa? Questo grafico, che vi ho già proposto, merita proprio di essere ripubblicato, a futura e imperitura memoria della nostra stoltezza.