Appare evidente che chi parla di referendum sul Fiscal compact, come abbiamo visto nel precedente articolo, è un “anti-sistema”, un “sanculotto” che va disciplinato, e quindi l’ordine di scuderia per tutti coloro che hanno paura è il “silenzio” sulle idee e l’esclusione dei disturbatori. Ma sul piano politico, i paesi che chiedono di avere una “flessibilità” nell’applicazione delle regole e di fare un “patto per la crescita”, principalmente Italia e Francia, nulla potranno avere se non si modifica il quadro legislativo che ha fatto dell’euro “una gabbia asfissiante” che impedisce ogni intervento sussidiario (nazionale) di politica economica che non sia recessivo. 



Infatti, la flessibilità già prevista negli accordi, come ha ricordato il governo tedesco e la Commissione europea, riguarda solo le “riforme strutturali”, che si traduce in un’unica scelta: tagli alla spesa pubblica, al costo del lavoro, alla redistribuzione della ricchezza e all’accesso alla proprietà. Come economisti di fama mondiale hanno esplicitato, le “riforme strutturali” sono un “acronimo inventato nei templi del neoliberismo economico per costringere gli stati a operare rapidamente delle rivoluzioni nel modello di governo dei sistemi sociali ed economici nazionali” per essere più competitivi. Traducendo in linguaggio socio-politico, significa cambiare radicalmente e profondamente le strutture delle società in aggiustamento, anche contro la loro volontà. 



A livello globale è stato il dollaro, sostenuto dalle burocrazie finanziarie del Fmi e della Banca mondiale e dell’Omc, che ha imposto la propria dominanza attraverso “prestiti” che hanno creato debito pubblico, che a sua volta ha sottomesso i “beneficiari” al trattamento di “aggiustamento strutturale”. Lo stesso meccanismo è stato applicato in Europa dopo la Prima e la Seconda guerra mondiale, e poi è stato perfezionato con una moneta “autonoma” che è l’euro che c’è.

Intanto, i Brics stanno agendo in controtendenza, creando una loro Banca per lo sviluppo, separata dal sistema dollaro, e intervenendo a cancellazione dei debiti pubblici di vari paesi a loro collegati. Sarebbe il caso che l’Europa si svegliasse dal sonnambulismo che le è stato imposto dopo il 1945 e che ritrovasse la gagliardia e l’orgoglio per attivare al più presto un tavolo di negoziato Euro-Brics. Ma grazie agli addormentati dell’europeismo bruxellese, l’Ue è immobile e subisce ogni vessazione che poi riversa sugli stati membri e i popoli europei. 



Alcuni stati europei, individualmente, e quindi più debolmente, stanno trattando in bilaterale con la Cina e i Brics: Svizzera, Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Grecia. Pochi mesi fa il presidente cinese Xi, nel corso di una visita di 11 giorni in vari paesi europei, ha offerto all’Ue di aprire un tale tavolo di negoziato. La risposta di quei figuri magrittiani che governavano l’Ue, Van Rompuy e Barroso, è stata che “al momento non ci sono le condizioni”. Ma se non ora, quando?

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