Nel 2014 il Pil Italiano scenderà dello 0,1%, mentre il debito pubblico aumenterà del 136,4%. Sono le previsioni del Fondo monetario internazionale, secondo cui l’Italia potrebbe essere “fonte di contagio per il resto del mondo”. Per l’organismo guidato da Christine Lagarde, la spending review è “uno strumento importante”, ma sono necessari “ulteriori risparmi che saranno difficili senza affrontare l’elevata spesa per le pensioni”. Ne abbiamo parlato con Antonio Maria Rinaldi, professore di Economia internazionale all’Università di Chieti Pescara.



Il Fmi ha invitato l’Italia ad attuare la riforma delle pensioni, ma il nostro Paese non l’ha già fatto sotto il governo Monti?

Per quanto riguarda la riforma delle pensioni, l’Italia ha già anticipato tutti gli altri paesi. Il Fmi quindi è colpito da una “sindrome di riforma”. Dal momento che Bce e Commissione Ue dicono che Renzi deve fare le riforme, il Fmi deve aver ritenuto che non guastasse rincarare la dose. Il problema è che le riforme costano, e non devono quindi essere attuate in situazioni di recessione conclamata come quella attuale, altrimenti la conseguenza è quella di provocare ulteriore recessione. Di fronte a una situazione macroeconomica estremamente deteriorata, la riforma della sanità per esempio farebbe pagare di più ai cittadini e quindi peggiorerebbe la situazione.



Come si spiega quindi un intervento come quello del Fmi?

Il Fmi vuole difendere la sostenibilità complessiva dell’area euro e gli interessi dei creditori, i quali possiedono asset e titoli del debito italiano. Quando interviene nelle questioni di politica economica, il benessere dei cittadini italiani è l’ultima delle priorità. Anzi, vuole trasferire determinati oneri sui contribuenti per migliorare la sostenibilità nella gestione dei conti. Il Fmi ha una visione completamente errata in base a cui lo Stato si deve comportare come una società per azioni.

Con il debito pubblico sempre più elevato l’Italia rischia il commissariamento?



L’Italia è già commissariata da diverso tempo. Il primo commissariamento è avvenuto nel 1981 con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Il secondo è stato il vincolo esterno di Maastricht e si è evoluto sempre di più con una serie di vincoli automatici che una volta si chiamano Fesf, una volta Mes, una volta unione bancaria o Fiscal compact. Di fatto però sono tutti commissariamenti che ci dicono e ci impongono quello che dobbiamo fare, indipendentemente dai risultati che poi vanno a produrre. La conseguenza è che siamo in recessione, e ciò manifesta che alla Commissione Ue l’unica cosa che interessa è il fatto di salvaguardare determinati interessi.

 

Il Fiscal compact prepara nuove manovre lacrime e sangue?

Sicuramente. Firmando il Fiscal compact, la classe politica italiana non aveva ben capito a che cosa saremmo andati incontro. Dei 25 Paesi firmatari, l’Italia è l’unica ad aver inserito il principio del pareggio di bilancio in Costituzione, modificando l’articolo 81. Gli stessi politici che hanno approvato il Fiscal compact, adesso ne vorrebbero uno stralcio o una rivisitazione. Sono convinto che in questo momento l’Ue stia immaginando un’evoluzione del Fiscal compact, perché si è resa conto che moltissimi Paesi non sono in grado di ottemperare in modo autonomo ai dettami previsti, a iniziare dalla riduzione in 20 anni del surplus del 60%. Hanno quindi ideato lo studio sull’Erf, che prevede un ulteriore meccanismo automatico con cui gli Stati non sono più chiamati a gestire in autonomia la riduzione pianificata dell’eccedenza del debito, ma ci pensa questo fondo.

 

(Pietro Vernizzi)