Il fuso orario ha giocato un brutto scherzo a Vitor Constancio, vicepresidente portoghese della Bce. Intervistato in Australia quando in Europa era ancora notte, il banchiere aveva preconizzato che i prestiti Tltro con cui la Bce punta a rilanciare il credito bancario nell’Eurozona avrebbero ricevuto “adesioni significative”. Certo, Constancio non si è spinto a fare cifre. Ma è fuor di dubbio che lui, al pari degli altri osservatori più o meno vicini ai pensatoi della Bce, avrebbero scommesso che le 255 controparti bancarie che hanno bussato ai forzieri della Bce avrebbero chiesto qualcosa di più degli 82,6 miliardi allo 0,15% a quattro anni erogati ieri dall’istituto di Francoforte.
Chi si è spinto a fare cifre, come il ministro Gian Carlo Padoan, ha fallito per eccesso: era “verosimile” una richiesta di 37 miliardi da parte degli istituti del Bel Paese. Ma l’asticella si è fermata a quota 23. Eppure le banche italiane sono state le più pronte a rispondere all’invito della Bce: le richieste in arrivo dagli istituti nostrani rappresentano il 28% del totale dell’eurozona. Sono state almeno dieci le banche che hanno fatto domanda. Tra queste Unicredit (7,7 miliardi), Intesa Sanpaolo (4 miliardi), Mps (3 miliardi) e a seguire Iccrea (2,24 miliardi per conto di 190 banche cooperative), Bper (2 miliardi), Banco Popolare e Credito Valtellinese (1 miliardo a testa), Credem e Carige (attorno a 750 milioni) e Mediobanca (570 milioni). L’elenco provvisorio è probabilmente incompleto (Pop Vicenza e Pop Sondrio, ad esempio, non hanno fornito informazioni alle agenzie). Ma si possono comunque trarre alcune indicazioni.
1) Gli istituti italiani, sono stati i clienti più sensibili ai prestiti Tltro, com’era prevedibile visto che a febbraio buona parte degli istituti di casa nostra dovranno restituire i capitali prestati in occasione del primo programma varato dalla Bce.
2) È assai dubbio che le prime due emissioni Tltro (quella di ieri e la seconda in programma a dicembre) si traducano in erogazioni a vantaggio delle imprese. Come scrive Angelo Baglioni (vedi la Voce 8 luglio), il regolamento di Francoforte prevede che ciascuna banca possa prendere a prestito dalla Bce una somma pari al 7% dello stock di prestiti in essere alla fine di aprile 2014. Ovvero il programma non crea alcun incentivo nella prima parte ad aumentare i prestiti alle imprese.
3) L’esito relativamente deludente del lancio si può inoltre spiegare in parte con la prossima pubblicazione dei risultati dell’Asset quality review e degli stress test, che hanno probabilmente indotto le banche a rimandare la richiesta della maggior parte dei fondi a dicembre. Ma l’ammontare inferiore alle attese conferma anche che non è tanto la scarsità di liquidità che frena i prestiti bancari alle imprese, quanto il rischio di credito combinato con il vincolo patrimoniale che emergerà con i risultati della Asset quality review e degli stress test condotti dalla Bce. Infine, ancor più importante, come sostiene il vicepresidente dell’Aiaf (l’associazione italiana degli analisti finanziari), “soprattutto in Italia, il problema più che nell’offerta di credito sta nella domanda. Le condizioni economiche non giustificano investimenti da parte delle imprese o l’ulteriore indebitamento delle famiglie”.
Data la mancanza di richieste da parte della clientela privata, insomma, non ha senso prendere in prestito denaro anche allo 0,05% previsto dalla Banca centrale europea. A meno che non serva a ripagare debiti precedenti (vedi Ltro, già integralmente rimborsati dalle banche del Nord Europa) oppure, come si può sospettare, non venga girato alla speculazione internazionale per finanziare operazioni di carry trade: mi indebito a basso prezzo per poi investire in titoli in dollari. Come probabilmente accadrà. O già accade.
Non resta che confidare, a questo punto, nelle prossime più energiche mosse della Bce. Purché siano tempestive, requisito che è mancato nell’azione delle Tltro, che avrebbero avuto ben altro impatto se fossero coincise con la fase di pulizia dei bilanci bancari. Speriamo che gli interventi sulle Asset backed securities possano essere più utili, cosa di cui si può dubitare se la Germania insisterà a non estendere l’operazione ai titoli garantiti dallo Stato. In attesa dell’arma nucleare, il Quantitative easing, ovvero l’acquisto diretto di titoli di Stato, l’unica mossa che può dare la scossa a un sistema all’apparenza sano, ma in forte crisi di identità.
Non stupisce che la Borsa abbia reagito con un robusto rialzo alle richieste modeste di prestiti Tltro. È la conferma che, dopo la drastica azione di pulizia dei conti e gli aumenti di capitale, il sistema vive oggi una situazione più equilibrata e sana rispetto a un passato non lontano. Ma questo è il risultato di un forte aumento delle partite incagliate o in sofferenza e di una drastica riduzione degli impieghi. Le banche, insomma, godono di buona salute perché hanno ridotto la propria funzione di erogatrici di credito. Un’ottima cosa per la speculazione, ma non per l’economia.