E’ mistero sulla telefonata tra il cancelliere Angela Merkel e il governatore della Bce Mario Draghi, sul cui conto sono state diffuse numerose indiscrezioni anche se nella realtà si sa ben poco di concreto. “Il contenuto della conversazione non lo commentiamo e non lo riveliamo”, ha reso noto il portavoce del leader tedesco, Steffen Seibert, il quale si è limitato a confermare che la telefonata c’è stata e che è stato Draghi a chiamare la Merkel. Ne abbiamo parlato con Mario Deaglio, professore di economia internazionale nell’Università di Torino.



Professore, secondo lei che cosa c’è dietro il giallo di questa telefonata?

La telefonata tra la Merkel e Draghi è rimasta riservata. Una ragionevole supposizione è che il Cancelliere tedesco abbia raccomandato che nella sua azione di aumento del credito Draghi rispetti alcuni parametri che fanno piacere a una parte del suo partito. La richiesta della Merkel potrebbe essere che la liquidità immessa non sia erogata ai governi e che le banche siano solo un tramite per andare direttamente a finanziare le imprese che ne hanno bisogno.



Per il portavoce della Merkel è stato Draghi a telefonare e non viceversa. Di che cosa è segno questo fatto?

In un momento importante di immissione di liquidità in un sistema, è un atto di cortesia istituzionale che il presidente della Banca centrale europea chiami almeno i principali leader.

Da un punto di vista politico, quali Paesi sono più vicini alla Merkel e quali a Draghi?

E’ certamente vero che alcuni Paesi sono più vicini alla Merkel e altri più lontani, ma non porrei una contrapposizione tra il Cancelliere e Draghi perché significa sicuramente forzare quello che noi conosciamo. Draghi ci tiene scrupolosamente a tenersi al di fuori da queste contrapposizioni.



Al di là di quanto si sono detti nella telefonata, che cosa sottendono le recenti prese di posizione tanto della Merkel quanto di Draghi?

Le prese di posizione di entrambi indicano che qualcosa va fatto. La Merkel non si è pronunciata a favore di un’austerità come nel 2013, le cose sono cambiate anche in seguito alla guerra in Ucraina. Come e quanto vada fatto può essere motivo di discussione, ma nessuno pensa di mandare l’Europa in deflazione, anche perché è un compito specifico della Bce il fatto di tenere l’inflazione al di sotto del 2%, ma in territorio positivo. Su queste basi ci possono essere delle parziali differenze di opinione, ma non più di tanto.

Draghi potrebbe aumentare i tassi in settimana?

Tenderei a escluderlo, in primo luogo perché non è possibile farlo senza un minimo di preavviso e inoltre perché se la misuriamo bene la deflazione non c’è. Dovremmo usare il metodo di misura dell’inflazione degli americani, che distinguono tra l’inflazione di base e quella occasionale determinata da elementi esterni. I prezzi dei prodotti interni dell’Europa sono ancora positivi, anche se di poco, mentre sono scesi fortemente i prezzi di energia e petrolio, anche in conseguenza del dollaro basso. Ora il dollaro si sta rialzando e probabilmente questo problema si attenuerà.

 

Una preoccupazione nei confronti dell’andamento dei prezzi e dell’economia è comunque giustificata?

Una preoccupazione è molto giustificata anche in relazione agli sviluppi internazionali della situazione dell’Ucraina, tanto che la Merkel ha frenato sulle sanzioni. Queste ultime stanno incidendo fortemente sull’economia tedesca, potrebbero mandare la Germania in recessione e quindi l’intero discorso sulla deflazione assume un altro significato. La Merkel si è data una settimana per esprimere una valutazione in merito alle sanzioni, e prima di decidere sulle sanzioni è difficile aspettarci un provvedimento sulle emissioni di liquidità.

 

(Pietro Vernizzi)