La legge di stabilità per il 2015 “è molto difficile”, in quanto i vincoli Ue si sono fatti “più stretti”. Ad ammetterlo è stato Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, il quale parlando ha Porta a Porta ha promesso di “fare tutto il possibile per trovare risorse sufficienti e credibili”. Intanto i tempi stringono, perché entro il 1 ottobre andrà presentato il Def (Documento di economia e finanza), preambolo per la legge di stabilità. Il tutto in un quadro di previsioni negative, con l’Ocse che ha stimato che nel 2014 il Pil dell’Italia calerà dello 0,4%. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Alla luce dell’attuale frangente economico, che Legge di stabilità ci dobbiamo aspettare per il 2015?
Dipende fondamentalmente dalla scelta che farà il governo. L’alternativa è tra rispettare in toto i vincoli europei, incluso il pareggio di bilancio strutturale, rispetto a cui per il momento mancano una decina di miliardi, o chiedere una maggiore flessibilità rispettando la regola del 3% ma non quella del pareggio strutturale. Nel primo caso sarà necessaria una manovra aggiuntiva, anche se la mia sensazione è che il governo sceglierà la seconda strada.
La strada della flessibilità è davvero percorribile in un contesto di pressioni crescenti da parte degli organismi europei, tanto che si è parlato di un possibile commissariamento dell’Italia?
L’Italia dovrebbe fare valere il fatto che la Francia si sia presa la flessibilità senza neanche negoziarla, mentre altri Paesi come la Spagna l’abbiano ottenuta e nessuno sta rispettando le regole in Europa. Né la Germania con il surplus, né la Bce che ha fallito il suo obiettivo di tenere l’inflazione al 2%. L’Italia ha dunque delle valide ragioni per derogare a queste regole alla luce dell’eccezionalità della situazione. Anziché attuare una manovra di pareggio strutturale, è possibile restare lievemente entro il 3%, attraverso tagli di spesa programmati e la lotta all’evasione.
Nel caso in cui il governo optasse per la flessibilità, potremmo vivere un periodo “caldo” per lo spread come nell’agosto 2011?
No, in quanto i mercati stanno vivendo un momento completamente diverso. I mercati funzionano a fiammate speculative e oggi lo scenario è caratterizzato dal fatto che la banca centrale fa di tutto per difendere l’euro. Draghi ha di fatto avviato una politica di quantitative easing che con il tempo incrementerà, fino eventualmente a portare a un acquisto temporaneo di titoli pubblici. Dobbiamo sempre tenere conto che il problema dei debiti pubblici dell’Ue al momento non è ancora risolto. Se guardiamo alle dinamiche di Grecia, Portogallo, Italia e Spagna, vedono ancora il rapporto debito/Pil in aumento anziché in diminuzione.
Come è possibile contrastare questa tendenza?
Il problema è più profondo ed è necessaria un’iniziativa che vada alla radice del problema. Ciò che occorre è un intervento della Bce che acquisti un’importante quota di debito pubblico, la converta in debito senza tasso d’interesse e sia rimborsata negli anni attraverso le risorse dal signoraggio.
Che cosa è possibile fare per favorire la ripresa?
In Europa non c’è la ripresa e a crescere è soltanto il rapporto debito/Pil. Bisognerebbe quindi cambiare le regole dell’Europa, approfittando di questo momento in cui nessuno sta rispettando i patti. Occorre arrivare a un assetto diverso che si fondi su un’azione molto più attiva della banca centrale simile a quella della Fed, cioè a un quantitative easing con acquisti di titoli pubblici e privati. Nello stesso tempo occorre attuare in tempi rapidi una politica fiscale espansiva come quella promessa da Juncker, con regole simmetriche di aggiustamento di deficit e surplus. I Paesi con un surplus eccessivo come la Germania devono quindi correggerlo stimolando la domanda interna.
Qual è il ruolo del governo italiano in questo contesto economico?
Il governo italiano deve innanzitutto prendere atto del fatto che se le misure che ho descritto prima non saranno attuate, l’Italia si troverà ad avere ben poche alternative perché la situazione in cui ci troviamo è molto difficile. Dovrebbe immediatamente attuare la riforma della giustizia civile, portarsi al livello degli altri Paesi europei in termini di durata delle cause civili. È inoltre necessaria la riduzione delle tasse sulle imprese, tenuto conto del fatto che in Europa competiamo con un Paese come l’Irlanda che ha un’imposta molto più bassa della nostra. Per arrivare ai livelli irlandesi avremmo bisogno di 50-60 miliardi di risorse.
(Pietro Vernizzi)