“I Paesi del Sud Europa sotto programma, cioè con la Troika, di recente hanno imboccato la strada di una crescita anche piuttosto vivace rispetto alle attese. C’è chi indica questa crescita come prova che le loro strategie hanno successo”. Sono le parole di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, che intervistato da Repubblica indica come modello per l’Italia “le performance di Irlanda, Portogallo, Spagna o Grecia”. Come spiega Padoan, la “lezione per l’Italia è che le riforme servono a consolidare la crescita e quindi rendere permanenti i benefici della prima ripresa, quella legata al rimbalzo”. Anche se per il professor Leonardo Becchetti, docente di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, fatta eccezione per l’Irlanda gli altri Paesi eurodeboli sono tutt’altro che un modello da seguire.
Vale la pena che la Trojka costringa l’Italia a fare le riforme?
La crescita di Irlanda, Portogallo, Spagna e Grecia c’è stata perché c’è stato un tracollo, e quindi sono stati aiutati da questo fatto. Se uno in un grattacielo scende di cento piani, poi è chiaro che prima o poi risale. Non sono però assolutamente dei dati da prendere d’esempio, in quanto sono Paesi assolutamente devastati dal rigore. Va valutato l’effetto sul Pil nell’arco di dieci o 15 anni.
Nel complesso lei come valuta la situazione di questi Paesi?
Sono Paesi che hanno perso tantissimo, che sono stati oggetto di una grande speculazione e aumento della povertà e il cui debito ancora oggi è insostenibile mentre la deflazione è in aumento. Ciò vale soprattutto per Portogallo, Grecia e Spagna, mentre l’Irlanda è un caso a parte.
Perché?
Dublino gode di un vantaggio fiscale e contabile, in quanto è un Paese che all’interno dell’Ue ha delle tasse molto più basse degli altri. I quartieri generali di numerose multinazionali sono stati trasferiti nella capitale irlandese, spostandovi inoltre parte della produzione. Non credo proprio però che Portogallo, Grecia e Spagna siano un buon esempio. Bisognerà valutare che cosa ne sarà stato della loro ripresa nell’arco dei prossimi cinque o sei anni.
Per Padoan, le “polemiche sui valori-soglia del debito sono sterili. Il contro-esempio è il Giappone: ha un debito al 230% del Pil, di cui però nessuno mette in dubbio la sostenibilità”…
Non esiste un problema di sostenibilità del debito in assoluto. La condizione però è quella di avere la possibilità di usare il cambio, nonché il fatto che il debito sia nelle mani dei suoi stessi cittadini i quali non hanno interesse a fare fallire il loro Paese, a differenza degli speculatori internazionali. Un’altra condizione necessaria è che, attraverso la politica monetaria, lo Stato possa monetizzare il debito. Tutte queste condizioni si sono verificate in Giappone, mentre in Europa ancora non ci siamo. Draghi ha detto che ha intenzione di andare in questa direzione, soprattutto le condizioni lo richiederanno Tutto ciò renderebbe il debito italiano più sostenibile.
È davvero necessario vendere il 5% di Eni ed Enel per ridurre il debito pubblico?
Sinceramente non capisco come si pensi di risolvere un problema strutturale con un’operazione una tantum. I proventi di una privatizzazione durano un anno solo. Nel caso di Eni ed Enel inoltre i dividendi delle aziende che si vendono sono sistematicamente più alti del tasso d’interesse che noi paghiamo sul debito, e finisce quindi per essere addirittura un’operazione in perdita. Andiamo così a perdere il dividendo che compenserebbe il costo degli interessi sul debito.
Padoan dice che per la Legge di stabilità prenderà in considerazione un taglio delle deduzioni e detrazioni. Non è a sua volta un aumento delle tasse?
Lo è, anche se bisogna vedere poi quale tipo di categoria ne sarà colpita. Una ristrutturazione o una ridefinizione di deduzioni e detrazioni è possibile, ma bisognerebbe capire chi ci guadagna e chi ci perde.
Per Padoan, l’Italia farà le riforme da sola senza avere bisogno di essere sollecitata da Germania e Unione europea. È davvero così?
Il problema è un altro, e cioè che in linea con quanto sta facendo Draghi, è la Germania che va sollecitata ad attuare delle riforme. Nel momento in cui è parte dell’Ue, la Germania non può tenere un surplus così elevato ma deve rilanciare la domanda interna, e ciò è fondamentale affinché l’Europa possa reggere. La vera questione non è quindi che il percorso di riforme dell’Italia sia indipendente dalla Germania, quanto quale sia la capacità dei Paesi membri di condizionare un Paese membro così importante che in questo momento si sta ponendo in maniera assolutamente dannosa per l’Ue.
(Pietro Vernizzi)