Sui mercati valutari, l’euro continua la sua discesa nei confronti del dollaro. Parlando da Vilnius, in Lituania, il presidente della Bce, Mario Draghi, ha ribadito di essere pronto a “misure non convenzionali” contro la deflazione, spingendo così l’euro ulteriormente al ribasso. Poco dopo Wolfgang Schaeuble, ministro tedesco delle Finanze, ha ribattuto dicendosi “non contento degli acquisti di Abs da parte della Bce”. Ne abbiamo parlato con Mario Deaglio, professore di Economia internazionale all’Università di Torino.
Professore, quali sono i vantaggi e gli svantaggi legati al superdollaro?
I vantaggi e gli svantaggi sono quelli di sempre, cioè chi esporta ha dei vantaggi e chi importa paga di più, se lo fa in euro. Il problema è fino a che punto vada questo movimento. Finora l’effetto è quello di una moderata boccata d’ossigeno per le imprese esportatrici, e un effetto non così forte sulle imprese importatrici perché nel momento stesso in cui si è indebolito l’euro è sceso anche il prezzo del petrolio. Per il momento non abbiamo ancora gravi conseguenze per quanto riguarda le importazioni, tranne perlomeno in settori molto delimitati.
Qual è il livello del cambio euro-dollaro a partire dal quale conviene per le imprese italiane e non solo per quelle tedesche?
In genere si calcola che il livello massimo sopportabile del cambio sia a quota 1,40. Un livello che combini il massimo dei vantaggi con il minimo degli svantaggi è intorno a 1,25 e ci stiamo in qualche modo ormai arrivando.
I vantaggi saranno maggiori per la Germania anziché per l’Italia?
In termini assoluti la Germania è più grande di noi, esporta una quota superiore alla nostra e quindi i tedeschi hanno più vantaggi. Molto dipende però dall’elasticità della domanda. Generalmente si pensa che la domanda sia più elastica per gli articoli di moda e i beni di consumo di prezzo medio. Se c’è uno sconto legato al cambio la domanda è subito interessata. L’Italia dovrebbe quindi trarne dei vantaggi soprattutto per quanto riguarda le esportazioni all’esterno dell’Unione europea sui settori del Made in Italy. Per il momento sono vantaggi che appena si delineano.
Qual è la quota delle esportazioni delle imprese italiane nei Paesi dell’area euro e in quelli esterni?
Circa il 55% delle esportazioni è rivolta a Paesi esterni all’area euro, contro il 45% dell’area euro. C’è una generale tendenza alla crescita del primo tipo di esportazioni e alla diminuzione del secondo tipo.
Quanto pesa per l’economia italiana l’incremento del costo delle importazioni?
Il costo delle importazioni non dipende solo dalla variazione del cambio, ma anche dalla variazione del prezzo. Finora uno dei due fattori ha annullato l’altro, grazie al fatto che il prezzo delle materie prime e soprattutto del petrolio è diminuito. Le importazioni dagli Stati Uniti sono naturalmente più care, ma l’Italia non importa nulla di così essenziale. In parte dovrebbe preoccuparci il Giappone, che è a sua volta ha svalutato lo yen rispetto al dollaro, e quindi le esportazioni nipponiche tornano a essere più competitive di qualche tempo fa. Insomma, il superdollaro non dà luogo a risultati sensazionali.
In generale la svalutazione competitiva può ancora funzionare come arma per aiutare l’economia?
La svalutazione competitiva può funzionare per brevi periodi e soprattutto per i primi che la fanno. Con il tempo però l’aumento del costo delle importazioni sembra ridurre questi vantaggi, gli altri Paesi mettono in atto a loro volta una svalutazione competitiva e quindi si ritorna al punto di partenza.
(Pietro Vernizzi)