Delle azioni negli Usa del Presidente del Consiglio Matteo Renzi (poche e non sempre ben mirate) si è interessata diffusamente la stampa italiana, pur se sono state ignorate da quella americana (tranne che dal quotidiano di Paolo Alto in California – sede dell’Università di Stanford). Fatto sta, però, che il Vangelo ci insegna che le omissioni sono tanto importanti quanto le azioni, ed è d’obbligo sottolinearne due.
La prima – molto notata in sede europea – è stata l’assenza non solamente sua (tanto più che era nel Palazzo) ma di qualsiasi rappresentante della Repubblica il 23 settembre dalle 16 alle 19 (ora di New York) alla cerimonia per gli “awards” dell’Open Government Partnership, l’associazione di 65 Stati e di numerose associazioni della società civile, per il miglioramento e la trasparenza della Pubblica amministrazione. I tre esperti italiani si sono piazzati molto bene: quarti su trentatre progetti. Ma accanto a loro la sedia per il “Government” è rimasta vuota per tutta la serata. Neanche un segretario di delegazione.
C’erano invece, accanto ai “loro”, Barack Obama (non credo abbia bisogno di presentazioni), François Hollande (anche lui ben noto), Susilo Bambang Yudhoyono (Presidente dell’Indonesia), Enrique Peña Nieto (Presidente del Messico), Jacob Zuma (Presidente della Repubblica del Sudafrica), Jakaya Kikwete (Presidente della Tanzania), Ivo Josipovic (Presidente della Croazia), Filip Vujanovic (Presidente del Montenegro), Irakli Garibashvili (Primo Ministro della Georgia) e Helle Thorning-Schmidt (Primo Ministro della Danimarca). In breve, i Capi di Stato e di Governo delle equipe finaliste, non di quelle premiate.
La vicenda può indicare che la trasparenza e l’efficienza della Pubblica amministrazione non interessano al Presidente del Consiglio e ai Ministri preposti, dato che le azioni sono più importanti delle parole. In tal caso, Palazzo Chigi e Palazzo Vidoni farebbero più bella figura a smettere di parlarne. Oppure può essere segno di vero e proprio caos alla Rappresentanza Permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite; allora si dovrebbero prendere provvedimenti. Renzi farebbe bene a scusarsi con gli italiani, specialmente con coloro che hanno lavorato sul progetto e meritato l’apprezzamento delle Nazioni Unite. Farebbe anche bene a fare i passi appropriati con i responsabili politici (una delle quali dopo questa ennesima mala figura rischia, comunque, di essere addetta alla rassegna stampa – incarico che ha svolto egregiamente per anni – nel suo nuovo ufficio in quel di Bruxelles).
La seconda omissione – notata soprattutto dalle associazioni italo-americane – consiste nel non essere andato in pellegrinaggio a Pittsburgh. Non per sostituirlo a quello a Monte Senario (che resta in piedi), ma perché avrebbe appreso qualcosa. Si sarebbe dovuto recare al loculo di Andrew Carnegie (1866-1919), il “padre” della siderurgia e della metallurgia – considerato, allo scoppio della Grande Guerra, l’uomo più ricco del mondo.
Quando morì, il suo testamento prevedeva “la legittima” per i figli (abbastanza, comunque, per sette generazioni), una dotazione importante per creare e far funzionare per diversi anni la Carnegie Hall (era appassionato di Musica) e l’Università tecnologica di Pittsburgh (il Carnegie- Mellon Institute) e un milione di dollari (dell’epoca) per l’esecutore del testamento (se avesse fatto le cose a puntino per le sue esequie). Non voleva monumenti (come si usava all’epoca) o cappelle speciali, ma un loculo con nome e cognome e date di nascita e morte nonché la frase “Fu uomo molto fortunato perché lavorò con collaboratori sempre più brillanti di lui”. Avrebbe appreso che deve contornarsi di competenti (anche critici) e non di sodali pescati tra i vigili di Firenze e luoghi simili.