“Il governo valuterà tagli non lineari del 3% per ciascun ministero. Lunedì con Padoan incontrerò tutti i ministri. Ognuno potrà e dovrà valutare le singole spese da tagliare”. Lo ha sottolineato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il quale ha aggiunto: “Posso garantire che da tagliare ce n’è, se una famiglia può risparmiare 40/50 euro su un budget di duemila, non vedo perché lo Stato non possa fare altrettanto avendo a disposizione una spesa di 800 miliardi”. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica nell’Università di Milano-Bicocca.
I tagli del 3% su ciascun ministero sono fattibili?
Finora si sono manifestate diverse buone intenzioni sulla spending review, non ancora totalmente convergenti. Cottarelli ha censito le possibili modalità per razionalizzare la spesa pubblica, poi è la politica che deve scegliere. Da un lato c’è un’offerta di spending review, dall’altra dovrebbe manifestarsi una domanda di riduzione degli sprechi: quando le due si incrociano la spending review si fa. Finora queste due “buone intenzioni” non si sono ancora incontrate…
Vuole dire che Renzi non è seriamente intenzionato a tagliare la spesa pubblica?
Diciamo che il governo non ha ancora le idee chiare su quali voci di spesa tagliare. Il dossier di Cottarelli è l’elenco dei tagli possibili, occorrerà poi scegliere che cosa si fa. Resta il fatto che la spending review è la strada obbligata, senza cui non c’è nessuna ripresa economica.
Perché è così difficile tagliare in particolare gli sprechi degli enti locali?
Da un lato le Regioni sprecano risorse e fanno i buchi nei conti della sanità e lo Stato interviene per ripianare. Dall’altra lo Stato non può accorpare d’autorità enti locali come i Comuni. Il governo centrale potrebbe però imporre che gli enti locali le cui dimensioni sono più ridotte facciano gli acquisti insieme. I piccoli Comuni sono a loro volta decisori di spesa, ma a questo livello interviene una dimensione di scala per cui più le dimensioni sono grandi e più si risparmia. I Comuni che si trovano su un territorio omogeneo potrebbero essere obbligati a unificare le loro amministrazioni.
Lei come valuta nel complesso il decreto Sblocca Italia?
Sono scettico sul fatto che un insieme di norme possa fungere da spinta per la crescita economica. L’unico “sblocca Italia” è un insieme programmato di interventi di riduzione delle aliquote fiscali nel tempo, con un alleggerimento mirato e progressivo delle tasse, calibrato nell’arco di tre anni. Occorre lasciare più soldi agli italiani perché possano spendere meglio secondo le loro preferenze. Per rilanciare l’Italia bisogna ridurre lo Stato, e quindi l’intervento pubblico, lasciando più spazio ai cittadini e ai decisori individuali.
Ritiene che i 3 miliardi di euro per assumere 150mila docenti della scuola siano sostenibili?
Quello di Renzi è un programma ambizioso e costoso, ma nello stesso tempo la spesa per l’istruzione scolastica in Italia è a livelli minimi nel mondo occidentale, con dimensioni di unità, classi e strumenti assolutamente ingestibili. I nuovi investimenti nella scuola decisi dal governo vanno quindi in una direzione che è necessaria. Nel momento in cui si assumono nuovi docenti, occorre però anche responsabilizzare gli istituti scolastici facendo in modo che siano in grado di produrre di più. C’è bisogno di un numero maggiore di insegnanti, ma anche di più autonomia e responsabilizzazione scolastica in modo che i singoli istituti siano responsabili di quanto producono gli insegnanti.
Fassina ha proposto di abolire l’obbligo di pareggio di bilancio inserito in Costituzione. E’ d’accordo con lui?
Sono d’accordo purché il deficit lo paghi Fassina… Battute a parte, la derogabilità dal pareggio ha senso se la spesa per l’investimento è produttiva e non puramente uno spreco. Ciò che conta però è che la spesa per l’investimento pubblico può essere fatta uscire dal ciclo della pubblica amministrazione. Rendendo autonome quelle organizzazioni che compiono investimenti infrastrutturali, si supera il problema di abolire il pareggio di bilancio dalla Costituzione. Basta fare uscire quegli enti che vogliono fare investimenti indebitandosi.
(Pietro Vernizzi)