Cinquantaquattro deputati e senatori del Partito democratico hanno aderito al comitato referendario per abolire la legge attuativa del Fiscal compact, approvata nel 2012. Dopo aver presentato un emendamento a Montecitorio, ora entro il 30 settembre prossimo andranno raccolte 500mila firme. Prima dell’adesione dei parlamentari del Pd, il Comitato parlamentare di sostegno al referendum era formato da 30 esponenti di Sed, dieci di Libertà e Diritti e Federico Fautilli di Per l’Italia. Ne abbiamo parlato con il professor Gustavo Piga, presidente del comitato promotore.



Perché avete scelto di indire un referendum contro il Fiscal Compact?

La “maggiore flessibilità” nell’applicazione del Fiscal Compact non è altro che un’austerità leggermente meno grave. Tutto ciò è ben lontano dal bastare, ciò di cui abbiamo bisogno è un’enorme presenza di domanda interna nel sistema. Ciò di cui c’è bisogno è di meno tasse e di più spesa, fatta ovviamente in modo intelligente.



Il Fiscal Compact non è un incentivo ad attuare la spending review?

E’ esattamente il contrario. Per l’Italia, impegnata nella spending review, il Fiscal Compact diventa un ostacolo ulteriore perché tagliare gli sprechi, anziché ridurre le spese a casaccio, richiede grande professionalità, tempi lunghi e grande impegno. Il Fiscal Compact però impone di liberare 20 miliardi di risorse in un anno, e fa sì che anche il miglior governo, che con tutta la dovuta calma voglia ridurre gli sprechi, si limiti a intervenire a casaccio con tagli lineari.

I promotori del referendum sono il partito della spesa?



Niente affatto, parallelamente all’eliminazione del Fiscal Compact dobbiamo fare partire una spending review seria. Da questo punto di vista il nostro governo è stato disastroso. Ha avuto sei mesi di tempo per identificare gli sprechi, eppure dopo avere annunciato tagli da 20 miliardi di euro il governo Renzi è riuscito soltanto a tagliare il commissario Cottarelli.

Ora però i tagli veri dovrebbero arrivare…

Il governo Renzi ha annunciato un blocco degli stipendi della pubblica amministrazione e un taglio dei capitoli dei ministeri senza se e senza ma. La conseguenza sarà non solo un danno immenso per il Pil, ma anche una compressione ulteriore della voglia di investire da parte delle imprese. Quindi il Fiscal Compact va interrotto immediatamente in tutta Europa.

Quali effetti avrà per l’Italia quanto deciso nel board della Bce di giovedì?

Per l’Italia non cambia assolutamente nulla. L’unica novità rilevante è la leggera svalutazione dell’euro, anche se il problema non è la domanda estera, e quindi questa misura non basterà ad aiutare un’economia come quella europea che già esporta moltissimo. Il nostro vero problema è la domanda interna. La svalutazione potrà forse ridurre leggermente la deflazione, ma sono tutte misure placebo. L’unica mossa rilevante è quella che chiediamo con il referendum, cioè l’abolizione del Fiscal Compact.

 

Alcuni deputati del Pd stanno cercando di abolire il pareggio di bilancio dalla Costituzione. Lei come valuta questa iniziativa?

E’ ottima, logica, e coerente con il referendum. La battaglia politica che ci attende sarà lunga. Ricordiamoci però che sarà una battaglia pro Europa e pro euro, per salvare l’Ue e non per contrastarla. Sono contro l’Europa quanti vogliono affossarla con la recessione, mettendo così a repentaglio il progetto più importante che siamo riusciti a ricevere dai nostri padri e a donare ai nostri figli.

 

Chi altro dovrebbe fare propria la battaglia contro il pareggio di bilancio in Costituzione?

Lo dovrebbe fare qualsiasi partito che ha a cuore il destino dell’Europa.

 

(Pietro Vernizzi)