La “palla di cristallo” delle elezioni politiche in Grecia è ancora piena di nebbia, ma al centro vi s’intravvede un esito meno dirompente rispetto alle premesse: un’affermazione di Syriza, ma non maggioritaria e quindi presupposto di un governo Tsipras di grande coalizione. Un governo il cui grado di “responsabilità europea” verrà subito testato dalla trattativa con l’Europa germanocentrica sulla ristrutturazione del debito. Lo scenario è delineato da Vittorio da Rold, “international senior editor” de Il Sole 24 Ore, che negli ultimi tre anni ha fatto la spola fra l’Italia e Atene per raccontare la “crisi nella crisi” alla periferia sud d’Europa.
«Nessuno ha la palla di cristallo – dice Da Rold – ma Syriza, il partito di sinistra radicale formato da dodici partiti minori e maggiore formazione politica all’opposizione in Grecia, guidato dal 40enne Alexis Tsipras, ingegnere senza cravatta che viaggia in Vespa nel caotico traffico di Atene, si conferma al primo posto nelle preferenze di voto dei greci incrementando lievemente il suo vantaggio (3,2%) su Nea Dimokratia (ND), il partito di centro-destra al governo guidato dal premier Antonis Samaras».
Cosa dicono gli ultimi sondaggi?
Syriza ottiene il 28,5% contro il 25,3% di Nea Dimokratia. Seguono To Potami (Il Fiume) con il 5,8%, il Partito Comunista di Grecia con il 5,7%, il partito filo-nazista Chrysi Avgi (Alba Dorata) con il 5,4% e il Pasok (socialista) – che insieme a Nea Dimokratia sostiene il governo di coalizione – con il 5,0%. Il nuovo partito, Movimento dei Socialisti Democratici, formato pochi giorni fa dall’ex premier Giorgos Papandreou, rimarrebbe fuori dal Parlamento con il 2,6% delle preferenze. Quindi Syriza dovrebbe vincere le elezioni del 25 gennaio, ma non otterrà la maggioranza assoluta e quindi dovrà allearsi con i partiti minori di centro che ne annacqueranno le politiche economiche;
In questo scenario la Grecia è “euro-in” o “euro-out”?
La Grecia resterà nell’euro perché Syriza non vuole uscire ma solo abbattere del 60-70% il debito oggi a 330 miliardi di euro, pari al 175% del Pil, e rivedere le politiche di austerità volute dalla Troika. La quota di greci che vogliono restare nell’euro è salita ancora dal 74% fino al 75,7%.
Durante la crisi del 2011-12 i timori di “contagio” del caso greco erano strettamente finanziari: ora Atene è considerata un focolaio problematico in Europa su uno sfondo più ampiamente politico-istituzionale…
Oggi l’effetto contagio può arrivare in caso di mancato accordo tra Troika e governo greco sulla ristrutturazione del debito: è possibile che alla fine un accordo di compromesso si troverà mantenendo il debito così com’è, ma allungando i tempi per restituirlo e abbassando la media degli interessi che verrebbero agganciati all’inflazione o alla crescita. Senza accordo verrebbe meno il finanziamento della Bce, che non potrebbe più accettare bond in garanzia, le banche greche non avrebbero liquidità e la Grecia sarebbe costretta a stampare dracme uscendo dall’euro. A quel punto i paesi indebitati dell’area euro entrerebbero nel mirino della speculazione internazionale.
La Grecia è all’estremità est della fascia mediterranea e più debole dell’eurozona, al cui centro c’è l’Italia. Sono giustificati i paragoni fra i due paesi?
Sono due paesi con elevato debito (il primo e secondo rispettivamente dell’aerea euro), evasione e corruzione diffusi, ma la Grecia non ha un apparato produttivo, né la dimensione della terza economia dell’area euro. Atene ha solo due settori veramente importanti: turismo e flotta commerciale. L’Italia ha la seconda manifattura di Europa, brand globali, un settore finanziario di prima grandezza.