Fuori dal Cobo Center di Detroit nel Michigan, dove si sta svolgendo il Naias, il più importante salone automobilistico di oltreoceano, la temperatura percepita va a 20 gradi sotto zero. Ma tra gli stand c’era un’aria frizzante, quasi calda, accogliente: quella che si respira o, potremmo dire, si “espira”, nel senso che la riescono a trasmettere gli operatori di un settore che va bene, in un mercato che cresce, in una nazione che inanella record economici uno dietro l’altro. In questa atmosfera, la conferenza stampa di Sergio Marchionne ha elencato solo cose positive: i record di Jeep, il buon andamento dei nuovi modelli Fiat, gli strabilianti numeri di Maserati. La conferma delle previsioni di bilancio per il tutto il 2014 era scontata, la quotazione di Ferrari già detta e la stima di 5 milioni di veicoli venduti nell’anno in corso abbastanza equilibrata da impedire ai controllori di Wall Street, dove ora è quotata Fiat-Chrysler Automobile, di alzare il sopracciglio.
Anche la notizia, rimbalzata dall’Italia, di mille nuove assunzioni nello stabilimento di Melfi, pur eccezionale per il nostro Paese, è entrata nel calderone di Detroit, dove un intero settore dato per morto è risorto e ora è molto più vivo di prima, assumendo tutte le caratteristiche della normalità, del quasi banale. Almeno quanto l’apertura di un nuovo stabilimento in Brasile.
Le notizie più importanti Marchionne non le ha dette, ma le ha fatte capire. La prima è che Fiat sta giocando su un campo molto più vasto rispetto a quello in cui giocava fino a un paio di anni fa. Certo è interessata a quello che succede in Italia, ma non è più dipendente da quello che accade nel Bel Paese e anche l’Europa è un buon mercato, ma non l’unico. I suoi marchi devono giocare una partita globale che moltiplica i problemi, ma anche le soluzioni. Dove non arriva Maserati può arrivare Jeep, o viceversa. E se un mercato storce il naso davanti alle Fiat, può accogliere meglio una Chrysler. Non è detto che sia più semplice, ma almeno si hanno più armi in mano per combattere.
La seconda è che se vogliamo considerare quella che ha di fronte Fca come una battaglia, bisogna dire che di certo sopravviverà, ma non è ancora in grado di vincerla e forse non lo sarà mai. Marchionne sa che Volkswagen, General Motors e Toyota vendono il doppio di auto rispetto alla sua azienda e hanno costi inferiori perché possono essere distribuiti su un numero maggiore di modelli commercializzati.
Per questo ha detto testualmente: «I nostri costi di esecuzione sul fronte del capitale sono ben superiori a quelli che un settore che considero maturo è in grado di permettersi», che tradotto in parole povere significa: «Pago troppo il denaro rispetto agli altri competitor» e, dopo aver negato ogni possibilità di un nuovo partner, ha candidamente ammesso: «Anche se fossi sul mercato, questo non è il luogo per annunciarlo».
Quel “se fossi sul mercato” che in italiano significa “essere in vendita” colpisce come una fucilata, ma siamo certi che il manager italo-svizzero-americano ha fatto un po’ di confusione tra le varie lingue che conosce. O forse no.