La Commissione Ue martedì ha pubblicato le nuove linee-guida relative all’applicazione del Patto di Stabilità. Sul piano formale si tratta di una vittoria dell’Italia, che aveva chiesto una revisione del sistema di calcolo dei bilanci pubblici. Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha parlato di “importanti novità favorevoli per l’Italia che ha una politica economica basata sulle riforme e il sostegno agli investimenti in una situazione di finanza pubblica sotto controllo e questo darà più prospettive di crescita e occupazione”. Riferendosi alla Legge di stabilità, il ministro ha aggiunto che “l’esame di marzo non è un problema, indipendentemente dall’esistenza di nuovi meccanismi di valutazione delle regole”. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.



Le nuove regole sono una vittoria dell’Italia come dice Padoan?

Le nuove regole della Commissione Ue fanno sì che l’Italia si possa tenere il deficit che ha fatto nell’ultimo anno. Il nostro Paese però non ne ha approfittato per realizzare investimenti, bensì per il Jobs Act e per il bonus da 80 euro. In pratica l’Italia ha già sforato per quanto riguarda il deficit e la Commissione Ue ci ha abbonato la differenza.



In concreto che cosa cambia?

Per il nostro Paese in realtà non cambia niente, nonostante quella che Padoan definisce una “importante novità favorevole”. Ci è riconosciuto un output gap di capacità produttiva superiore a quello che era stato calcolato in precedenza dalla stessa Commissione Ue, dando in questo ragione al ministro Padoan. E ciò in virtù del fatto che stiamo facendo le riforme. La capacità produttiva teorica che abbiamo a disposizione ci consente quindi di dire che il bilancio dell’Italia è in tendenziale pareggio corretto per il ciclo.

Come ha fatto l’Italia a convincere la Commissione Ue?



Il ragionamento di Padoan è stato che facendo le riforme la capacità produttiva inutilizzata diventa utilizzabile. L’Italia l’ha avuta vinta ottenendo un vantaggio in termini di bilancio, ma il vero problema è che finora questo vantaggio non è stato utilizzato in modo efficace. L’unico beneficio è stato quello di Marchionne, che uscendo da Confindustria ha potuto sostituire i contratti collettivi nazionali con dei contratti cuciti su misura.

Le vere riforme di cui avrebbe bisogno l’Italia non sono ancora state fatte?

La vera riforma sarebbe proprio abolire i contratti nazionali. Invece inoltre di attuare gli investimenti si è erogato il bonus da 80 euro, continuando a tassare gli immobili. Le opere pubbliche sono ancora ferme e lo Sblocca Italia non ha adeguato i finanziamenti. Alla fine il risultato pratico di questa vittoria dell’Italia in sede Ue è che noi questa opportunità la regaliamo ad altri Paesi rispetto ai quali ci mettiamo al traino. E questo perché la politica economica dell’Italia è orientata all’elettoralismo populista anziché alla vera crescita, cioè alla creazione di occupazione basata su risparmi e investimenti di imprese e famiglie.

 

L’output gap prende in considerazione la capacità produttiva di un determinato Paese. Ma questa da cosa dipende?

Il vero fattore di ampliamento della capacità produttiva è il ribasso del prezzo dell’energia. Se quest’ultima costa di meno, per l’Italia pesa di meno il costo differenziale che paghiamo normalmente. Il nostro Paese è privo di carbone ed energia nucleare e l’idroelettrico non ci basta. Se cala il prezzo dell’energia possiamo produrre più acciaio, alluminio e petrolchimica. Il vero tema è darsi da fare per investire e creare un ambiente favorevole all’investimento, anche se non mi sembra che questo accada.

 

In realtà, anche il decreto fiscale si è rivelato un pasticcio con un “regalo” a Berlusconi…

Non è così. La sanatoria tributaria, bloccata in quanto considerata un favore a Berlusconi, nella realtà rappresenta un passaggio importante. Gli imprenditori non investono in Italia perché possono essere accusati in ogni momento di evasione nel caso in cui la loro fattura risulti sottovalutata nelle vendite o sopravvalutata negli acquisti. La conseguenza è che abbiamo delle norme così complicate che gli imprenditori si sentono insicuri e se ne vanno altrove, perché di solito chi fa investimenti internazionali ha sedi in almeno tre Paesi diversi e quindi può scegliere in quale di questi scommettere di più.

 

(Pietro Vernizzi)