La decisione della Banca nazionale svizzera (Bns) di non difendere più il cambio franco/euro a 1,20 ha creato diverso scompiglio sia sui mercati che a livello monetario. L’euro, che negli ultimi tre anni era rimasto appunto fermo a quota 1,20 franchi svizzeri, si è svalutato rapidamente fino ad arrivare a quota 0,85, con un calo del 32%. Ma il franco è cresciuto anche rispetto a tutte le altre valute, raggiungendo il suo livello massimo rispetto allo yen giapponese dal 1980. Panico sulla Borsa di Zurigo che ha bruciato l’8%. Abbiamo chiesto un’analisi a Rocco Corigliano, professore di Economia degli intermediari finanziari all’Università di Bologna.



Che cosa ne pensa della decisione della banca centrale svizzera?

È una decisione a sorpresa, ma inevitabile. La Snb aveva promosso una difesa del valore del franco nei confronti dell’euro. Ciò significa sostanzialmente una svalutazione del franco nel momento in cui c’era il rischio del cosiddetto break-up dell’euro, cioè quando durante la crisi del debito sovrano sembrava che l’euro fosse sul punto di esplodere. Avevano promosso questa difesa del franco nel senso della svalutazione, applicando e difendendo il tasso di cambio dell’1,20 rispetto all’euro. Ciò nelle intenzioni della Banca centrale svizzera avrebbe dovuto fare gli interessi dell’economia elvetica.



Che cosa è cambiato nell’arco degli ultimi tre anni?

Nel frattempo i rischi di break-up dell’euro sono stati superati e la moneta unica comunitaria si è svalutata. Non si poteva quindi difendere il tasso di cambio a 1,20 come era stato fissato. Quest’ultimo non reggeva più di fronte alla continua svalutazione dell’euro e alla prospettiva della politica espansiva della Bce, che con il Quantitative easing avrebbe dovuto dare un ulteriore impulso alla svalutazione dell’euro. Hanno deciso quindi di non difendere più quel tasso di cambio irrealistico. Questo ha comportato una rivalutazione immediata del franco, il che naturalmente non farà bene all’economia svizzera. Tanto è vero che la Borsa ha subito risposto con una consistente perdita delle quotazioni.



Ritiene che la banca centrale svizzera abbia commesso un’ingenuità?

Nella decisione della Bns non c’è solo una scelta di politica valutaria, ma anche una riduzione dei tassi di riferimento interni che dovrebbe aiutare a non rivalutare più di tanto il franco svizzero. Sono quindi consapevoli di avere compiuto un’operazione di rivalutazione del franco. Ora stanno tentando di farlo rivalutare di meno attraverso una discesa dei tassi interni. Sono però misure poco consistenti.

Quanto è avvenuto fa bene invece all’economia europea?

Dal punto di vista dell’euro quanto è avvenuto ieri è invece positivo. Il fatto che non si difenda più una svalutazione del franco svizzero aumenta le nostre opportunità di esportazione nei confronti della Confederazione e riduce la competitività dei prodotti svizzeri che vengono venduti nei paesi dell’Eurozona. Per l’economia dei paesi dell’area euro ciò non può che essere un vantaggio.

 

Com’è destinato a cambiare il rapporto euro-dollaro nel momento in cui ci si aspetta il Quantitative easing della Bce e il rafforzamento della valuta Usa da parte della Fed?

Se la Fed rafforza il dollaro, ciò non fa altro che agevolare la politica dell’Eurozona. L’espansione monetaria da parte della Bce ormai è attesa da tutti e inevitabile, al punto che nel momento in cui sarà ufficializzata la possibilità di acquistare titoli pubblici da parte della Bce, l’effetto sarà ridotto in quanto il mercato sta già scontando questa decisione.

 

Si può dire che la politica espansiva di Draghi sta già avendo successo?

La politica espansiva di Draghi sta avendo successo, ma arriva con grave ritardo. È una cosa che bisognava fare già tempo fa, e se non ci fosse stata la resistenza dei soliti noti, la manovra espansiva via Quantitative easing sarebbe stata sicuramente più efficace. Adesso finalmente arriva e si superano anche le resistenze di questi paesi ortodossi, ma l’effetto non potrà che essere contenuto.

 

(Pietro Vernizzi)