Dalle stelle alle stalle e ritorno, ovvero quel che si faceva, quel che non si è potuto più fare, quel che si dovrà tornare a fare. Quando il sistema produttivo stava a regime, accadeva che i consumatori, con il loro fare, attribuivano valore alle merci che trovavano al mercato, poi le acquistavano trasformandole in ricchezza; pagando l’Iva finanziavano la spesa pubblica. Non paghi, consumavano l’acquistato; nello smaltirlo finanziavano la spesa pubblica locale con l’ex Tarsu. Pregni di cotanto fare facevano ri-produrre, dando continuità al ciclo e sostanza alla crescita. Se poi, dopo tanto fare, restava in tasca il resto, lo si investiva per finanziare gli investimenti. Mentre tutto questo accadeva, accadeva pure che le imprese vendevano il prodotto facendo utili, le maestranze lavoravano portando i soldi a casa, lo Stato spendeva… tutto filava liscio come l’olio.
Se tanto dà tanto a tutti perché non fare di più? Detto fatto, diventa merce tutto, finanche la sete, la pipì e la sosta []. Già, pure le funzioni fisiologiche messe sul mercato fanno il Pil: tutto a più non posso. Già, a più non posso, fin quando il portafoglio tiene. Quando s’affloscia e il resto non resta allora si fa debito, che quando è troppo è troppo e si arriva alla fine della fiera.
Così, quando quel portafoglio sgonfio smette di dare agio alla sequenza ordinata di quelle otto azioni di ruolo, siamo tutti, ma proprio tutti, ficcati in un bel guaio: è la crisi bellezza! Sì, con quel poco venne il tempo del troppo. E quando è troppo è troppo! Il valore di tutte quelle merci non lo riconosco, ancor meno le acquisto; svalutate, in magazzino si afflosciano svalutando pure il lavoro che le ha prodotte, così pure le risorse messe in campo. E se non c’è trippa per i gatti, figurati per finanziare l’erario e gli investimenti. Si scassa tutto, insomma, aumenta la sovraccapacità, viene ridotta la produzione, ahiloro pure gli utili; gira meno lavoro e quel che resta pagato meno. Quel che tra le macerie resta rischia di valere un soldo bucato.
Già, proprio il soldo che è mancato per tenere lubrificato quel sistema produttivo, circolare e continuo, dove tutti gli agenti stanno ancora invischiati. Quel soldo, l’unico, che può lenire le sviste restituendo lo sguardo per tornare a vedere il valore, dare la spinta per riattivare il ciclo e ripristinare pure il valore dell’altrui fare.
[1] Dopo tanto andare a zonzo per fare acquisti, la vita chiede conto con l’arsura. Quella fontanella che gli sta dappresso asciutta, nei pressi frizzanti minerali, impudicamente esposte nel distributore, ammiccano: 2/3 di litro = 1,50 €. Ne bevi e da lì a far la pipì il passo è breve, anzi lungo, il wc sta più in là. Lì stanno tutti in fila per pagare prezzo: 0,80 €. Quando torni a prendere l’auto paghi la sosta, il tempo dell’acquisto: 2,50 €.
Per i nostri, un vantaggio competitivo che cotanto fare, con quei soldi la spesa, mostra; da mettere a profitto quando si dovrà mettere mano a una più adeguata allocazione della ricchezza che ancora in giro gira. Per un nuovo equilibrio, non vacuo, equo. Buono proprio per chi è più equo degli altri.