Ogni giorno cresce la sensazione tra le persone semplici, ossia quelle che vivono del loro lavoro, che non guadagnano né stock options, né bonus speculativi, che non vi sia più alcun rapporto tra ciò che accade nelle borse mondiali e l’economia reale. Assistiamo in tutto i mondo a un crollo dei prezzi delle commodities. Anche quello del petrolio è soltanto accentuato dalla guerra geo-strategica che l’Arabia Saudita muove soprattutto agli Usa e in generale agli amici dell’Iran. Anche senza questa manovra di vera e propria guerra internazionale il prezzo dell’idrocarburo fossile scenderebbe lo stesso: il mondo, infatti, si sta o fermando o sta frenando. Anche la Cina, sconvolta da una lotta interna al partito comunista di inaudite proporzioni e da una sovraccapacità produttiva senza limiti, sta lentamente perdendo il suo slancio. 



Tutta diversa è la situazione nel sistema finanziario. In primo luogo, le banche e in generale gli intermediari finanziari non hanno affatto smesso di operare con gli strumenti di distruzione di massa, ossia derivati di ogni specie e fattura, che hanno innescato la crisi da eccesso di indebitamento del 2008. Anzi, a questo meccanismo perverso si è aggiunto quello delle banche centrali. 



Si badi bene, c’è banca centrale e banca centrale. La Federal Reserve inonda il mondo di liquidità, ma grazie al fatto che quel mondo non è bancocentrico quella liquidità giunge anche alle famiglie e alle imprese, e in ogni caso quest’ultime vengono sorrette anche dalla mano pubblica dello Stato, com’è successo nel caso automobilistico o come succede nell’industria militare. In questo caso la liquidità aumenta, ma ha anche effetti positivi sull’economia reale e quindi la discrasia tra quest’ultima e la finanza è meno preoccupante. 

Diverso è il caso dell’eurozona. Nel Vecchio continente, dando ragione alle vecchie Cassandre come me, la deflazione ormai non si può più negare, nemmeno da parte di quelli che ancora un anno fa la chiamavano bassa inflazione. Quando si passa dall’unità ai decimali, con un bello zero in cima, se si usa ancora quel termine si passa per fessi e capisco che questo possa non piacere. Ma quello che è più strano e sconvolgente è che quando il pifferaio magico, alias Mario Draghi, annuncia che compirà degli atti antideflattivi, le borse salgono inaspettatamente. 



Dato che al suono del piffero non si accompagna nessuna Pamina, le fronde degli alberi smettono di emettere il loro suono, anch’esso melodioso, e le borse di nuovo crollano, con effetti devastanti. Altrettanto devastante è il fatto che il Pifferaio magico non venga accusato di turbativa borsistica, come accadrebbe a qualsiasi altro mortale. La ragione è che questa montagna russa delle borse è fondata non tanto o soltanto sulla bravura del pifferaio, ma soprattutto sul fatto che negli ultimi vent’anni si è formata una nuova piega orizzontale nella stratificazione sociale, ossia un ceto, una quasi-classe, che vive speculando su questi alti e bassi. E sono decine di migliaia di persone nel mondo, sono i cosiddetti trader. 

Come rimpiango i vecchi operatori di borsa: erano pochi, tutti li conoscevano, li vedevamo in carne e ossa fare strani segni che erano una semiotica complessissima, ma trasparente e soprattutto fondata non sul tempo breve, ma sul tempo lungo e sulle modiche quantità. Ben diversa la situazione creata da queste decine di migliaia di ragazzotti, vestiti tutti di nero, tutti con un master, tutti con una business school, tutti con un titolo criptico e sconosciuto che nel tempo di un battito d’ali, col tocco di un dito spostano centinaia di milioni di euro di un patrimonio amministrato da un Paese all’altro, da un titolo azionario a un altro.

Se questa quasi-classe svilupperà processi endogamici di filiazione e diventerà quindi ereditaria, si darà vita a una nuova e potentissima classe sociale. Non si tratta più dei vecchi finanzieri, degli ormai arcaici banchieri, ma invece di operatori di un mondo separato e chiuso inconoscibile ai più, e che ha bisogno di essere refrattario all’economia reale. Questa nuova classe, che è in effetti una nuova oligarchia, produce denaro per mezzo di denaro. Fenomeno vecchio come il mondo, si dirà, ma è nuovo il fatto che qui siamo davanti a quantità immense, e qui, come ricordava il vecchio Engels, siamo davanti a una quantità che per le sue dimensioni si trasforma in qualità e quindi in un fenomeno completamente nuovo rispetto al passato.

Torniamo all’inizio. Ecco il segreto dei rialzi di borsa, delle bolle speculative che vanno alle stelle mentre l’economia reale va a rotoli. Nulla di nuovo, dirà qualcuno. Invece c’è molto di nuovo. Un tempo siffatti fenomeni, se di piccole dimensioni preannunciavano recessioni, se di grandi preannunciavano crisi economiche generali. Teniamo a mente che un fenomeno siffatto si disvela periodicamente a partire dalla crisi asiatico-thailandese degli anni Novanta e via via si ripete con sempre più trascinante clangore. 

Decisamente tutto ciò è il volto dell’ultimo capitalismo, ossia quello dominato da un’oligarchia così indifferente alle sorti della società e quindi dell’economia reale da trovare nella divisione tra finanza ed economia la sua ragione di vita e di prosperità. Che poi ci siano professori o brava gente semplice che chiami tutto ciò, ossia la finanza oligarchica, economia, altro non è che la prova che il mondo ormai si vede a testa in giù.