Fare delle previsioni sul nuovo anno appena iniziato è cosa ardua. Ci sono, e in parte ne dispongo, quelle di validi centri di ricerca. Si tratta di quegli enti che disegnano i cosiddetti scenari macroeconomici, utilizzati poi dalle aziende per approntare i propri budget e piani industriali. Ne conosco di molto qualificati che a distanza di pochi mesi hanno dovuto rivedere le proprie stime e non di poco: basti pensare a quanto accaduto al prezzo del petrolio o all’andamento dei tassi di interesse o ad alcune valute. Tutto questo per dire di quanto sia difficile oggi prevedere il futuro. Anche quello più prossimo.
Di seguito propongo quindi alcune previsioni/valutazioni che nascono dal lavoro che svolgo quotidianamente e dal sentimento che percepisco fra gli operatori economici nazionali e fra quelli stranieri nei confronti del nostro Paese.
Partendo da questi ultimi – che mi sembrano i più importanti dato che importano i nostri prodotti o comprano i titoli del nostro debito pubblico o le azioni delle nostre aziende -, la loro preoccupazione è soprattutto legata all’instabilità politica. Vale a dire il non poter fare affidamento su leader politici capaci di approntare le riforme di cui l’Italia ha grande bisogno: in primis quella della Pubblica amministrazione, indirizzata a un suo snellimento, e quella della giustizia, con l’obiettivo di migliorare la durata dei processi e più in generale la certezza del diritto.
Le nostre imprese e le libere professioni chiedono, giustamente, una riduzione della pressione fiscale, accompagnata da un rapporto con l’amministrazione finanziaria non solo di carattere punitivo, iniziando con un quadro normativo più certo, più chiaro e meno burocratico. A seguire c’è il tema della flessibilità e del costo del lavoro.
A questo punto chi legge potrebbe dire che quelle appena ricordate sono cose giuste, persino ovvie, ma già sentite e che tutti ripetono. Ciò è comprensibile, ma si tratta dei presupposti per una libertà sostanziale, necessaria per chiunque voglia avviare o gestire un’attività, sia essa profit o non-profit. Devo riconoscere che il governo Renzi alcune risposte le ha date. Ciò che manca è qualcosa che esula dai canoni tradizionali con cui guardiamo le cose.
Ci è stato infatti insegnato a guardare al mondo come a qualcosa che cresce lentamente verso una perfezione, a qualcosa che necessariamente progredisce ed evolve. E pensando soprattutto alle tecnologie della comunicazione esse sembrerebbero darne conferma. Purtroppo non è così e allo stesso modo non si può credere alle teorie della decrescita, perché non fanno i conti con la natura dell’uomo, il quale non concepisce un ritorno al passato.
Siamo di fronte a grandi trasformazioni, quelle definite epocali. Senza scomodare gli ingressi della Cina, della Russia e di tanti altri paesi nel commercio competitivo mondiale, pensiamo solo al ruolo delle banche. Un impiego in una banca fino a pochi anni fa significava sicurezza di un posto di lavoro e remunerazione molto generosa rispetto ad altri settori. Oggi c’è un eccesso rilevante di personale di fronte a prospettive incerte di profitti. Le difficoltà di questi mesi a trovare soluzioni contrattuali condivise ne sono una prova. Eppure gli intermediari finanziari svolgono un ruolo cruciale nel raccordo tra risparmio e concessione di crediti al sistema produttivo.
Occorre dunque trovare soluzioni innovative che evitino la via più facile, ma insidiosa nel medio termine, che è quella di concentrarsi sulla gestione del risparmio battendo in ritirata sulla presa e gestione dei rischi. Oggi, come qualcuno ha detto, servono banchieri non banche. Ma, aggiungo io, occorrono banchieri dell’anno 2015.
Bisogna poi affrontare di petto il tema energetico e porre rimedio alle sovvenzioni date in modo scriteriato alle produzioni rinnovabili. È infatti mancata in questo settore un’accorta e intelligente politica industriale degna di un Paese che guarda al futuro. Lo stesso si può dire per le tematiche legate all’ambiente.
Mettere insieme banche, energia e ambiente può sembrare una forzatura e persino fuorviante rispetto a delle valutazioni sullo stato e sulle prospettive della nostra economia. Eppure sono questi i comparti dove si possono inserire intelligenze innovative, se si liberano protezionismi di ogni genere.
Queste poche righe per dire che non vedo novità rilevanti per il 2015, oscilleremo sull’onda di fatti internazionali indipendenti dalle nostre volontà. Ma sono certo che le cose non cambieranno nemmeno nel 2016 se non apportiamo una rivoluzione culturale che si liberi dal teorema che non si possa comunque che andare avanti. Anche se a piccoli passi.