Il Cdm ha approvato ieri il decreto “Investment Compact” relativo a banche e investimenti. A illustrare il provvedimento è stato lo stesso presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “Attraverso l’art.1 interveniamo sulle banche popolari, non su tutte ma sulle banche popolari con un patrimonio superiore agli 8 miliardi, sono 10 in Italia che in 18 mesi dovranno superare il voto capitario e diventare spa. E’ un momento storico”. Il voto capitario consente a tutti gli azionisti di avere un singolo voto a prescindere dal numero di azioni possedute. Nel decreto anche una norma rivolta alle imprese che investiranno in Italia con progetti pluriennali superiori ai 500 milioni di euro. Queste aziende potranno beneficiare del congelamento delle regole fiscali per l’intera durata del piano d’investimento. Ne abbiamo parlato con il professor Francesco Forte, ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie.
Che cosa ne pensa della scelta di cancellare il voto capitario in dieci grandi banche popolari?
Trovo innanzitutto assurdo intervenire con un decreto. Giuridicamente è incostituzionale, oltre che inappropriato perché mancano i requisiti di necessità e urgenza. Cancellando il voto capitario si abolisce inoltre la struttura giuridica delle banche popolari e quindi le si rendono scalabili da altri o le si costringono a rilevare altre banche.
Qual è l’obiettivo del governo?
L’idea è quella di spingere le popolari, attraverso una sorta di moral suasion, a rilevare Monte dei Paschi e Carige. Abolendo il voto capitario, che è una tradizione importante della Dottrina sociale della Chiesa, anziché correggere gli eventuali difetti della norma, si attua una rivoluzione negativa. Sarebbe stato meglio trovare un rimedio politico che tenesse conto delle istanze sociali.
Insomma, è una scelta che non condivide?
Non solo non la condivido ma la ritengo inaccettabile. Ci sono dei problemi che dovrebbero essere meditati attraverso audizioni parlamentari e discussioni. Occorre capire come ci si può orientare oggi rispetto al fatto che a livello europeo siamo sottoposti al controllo della Bce, ma soprattutto in relazione ai nuovi compiti della Bce per quanto riguarda l’intervento nella gestione delle cartolarizzazioni, che può consentire di finanziare il credito alle imprese.
La cancellazione del voto capitario vale però solo per dieci grandi banche…
Trovo che chi ha pensato questa norma dimostri di avere un grosso difetto di cultura economica, perché imporre una trasformazione in Spa è una scelta semplicistica di cui non c’era bisogno. In Italia per le banche vige il sistema duale (cioè la suddivisione in due diversi organi delle attività gestionali e di controllo, Ndr). Quest’ultimo consente alle banche popolari di reggere anche qualora superino determinate dimensioni. Ciò che si pone in atto è una codeterminazione tra risparmiatori che partecipano alla società come individui e l’organizzazione degli azionisti nella loro struttura capitalistica.
Quali altre soluzioni si potevano adottare?
Un’altra eventuale soluzione è quella della Golden share. Bisogna inoltre osservare che siccome esiste il voto plurimo che rafforza il potere capitalistico, si può immaginare che le maggioranze qualificate modifichino il sistema nell’altro senso. Trovo cioè asimmetrico il fatto di consentire il voto plurimo e non invece un voto semi-capitario.
Che cosa ne pensa invece del congelamento delle regole fiscali per i grandi investitori?
È una “mezza misura”, che riconosce che in Italia è insito nella sinistra italiana un’incapacità di aderire alla regola per cui le imposte devono essere certe e non devono essere dei golpe a sorpresa. Il contribuente deve essere informato, mentre la sorpresa delle modifiche fiscali para-retroattive come quelle della legge Severino allontana gli investimenti dall’Italia. Fiat Chrysler investe in Italia dopo avere portato le sedi legali e fiscali all’estero, perché nel nostro Paese sente di rischiare troppo.
La soglia dei 500 milioni rende questa norma applicabile soltanto a pochi casi?
Sì, il congelamento fiscale dovrebbe valere a livello generale, e non solo per gli investimenti al di sopra dei 500 milioni di euro. Comunque meglio questo primo passo che niente. In Italia vige una sorta di “giustizialismo tributario”, con ostacoli e abusi nei confronti del sistema delle imprese, e in particolare di quelle con aspetti internazionali, per cui si pensa sempre che vogliano nascondere forme di riciclaggio o altri reati finanziari.
(Pietro Vernizzi)