«Un Quantitative easing della Bce che riproponga la frammentazione dell’Europa attraverso le banche centrali nazionali potrebbe aggravare i problemi anziché risolverli». Lo afferma Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, alla vigilia del board della Banca centrale europea che potrebbe varare misure monetarie straordinarie. L’obiettivo è quello di rilanciare l’economia reale dell’Eurozona, anche se il braccio di ferro tra Germania e Paesi del Sud rischia di vanificare tutto.
Quale annuncio dovrebbe fare Draghi per dare risposte all’economia e ai mercati?
L’annuncio di Draghi dovrebbe essere molto forte in tutti i sensi. Dovrebbe cioè sia sancire un cambio di marcia da parte della Bce, sia essere caratterizzato da un ammontare significativo come dimensione della somma. Siamo già molto in ritardo su questa strada, perché è stata annunciata da troppi mesi, perché a lungo si è negato che fossimo di fronte a una situazione di deflazione e perché manca un’intesa sull’ammontare di questa manovra.
Ora però siamo arrivati al passo storico…
Il Quantitative easing della Bce è un passo che potrebbe essere storico, ma che rischia invece di essere un flop. Ritengo emblematico quanto avvenuto a Napoli a ottobre, quando ci fu la riunione del board della Bce, alla presenza di Mario Draghi e del governatore della Bundesbank, Jens Weidmann.
Che cosa accadde durante quella circostanza?
Il presidente di Bankitalia, Ignazio Visco, ricordò che l’Europa aveva avuto una crisi molto forte che era stata affrontata con molti errori e ritardi. Visco sottolineò che invece di partire da una condivisione degli obiettivi di bilancio, erano stati fatti i test delle banche. Nel 2010 quindi l’Ue intervenne in Grecia per ristrutturare il debito, anziché risolvere i problemi dell’economia reale. I capitali sono così usciti dall’Europa, creando il grande problema dei debiti sovrani. Insomma, come rilevato da Visco, la storia europea è piena di errori e ritardi. Anche per quanto riguarda il Quantitative easing siamo in ritardo e non ci possiamo quindi permettere di commettere altri errori.
Di quali somme c’è bisogno per un Quantitative easing che funzioni?
Si sta parlando di un intervento da 500/550 miliardi, mentre Draghi aveva profilato un aumento delle “munizioni” della Bce fino a 1000 miliardi: la differenza è quindi sostanziale. Questi 500/550 miliardi potrebbero aumentare nella misura in cui fosse ridotto lo sforzo legato alla mutualizzazione e la somma venisse ripartita sulle singole banche centrali nazionali. Quest’ultima è una manovra molto pericolosa, nonché lo specchio di un’Europa incompiuta e che procede a velocità diverse.
Perché la ritiene una manovra pericolosa?
Perché ciò ripropone in modo chiaro la frammentazione dell’Europa. Tanto più ci si allontana dal modello della condivisione del rischio, quanto più torniamo a compiere un errore aggravando i problemi anziché risolvendoli. Non si riesce infatti a uscire dal rischio sovrano e dalla spaccatura interna tra i paesi più indebitati dell’area sud e quelli meno indebitati.
Quali potrebbero essere le conseguenze di un flop del Quantitative easing?
Sarebbero gravi, in primo luogo perché vorrebbe dire che abbiamo sprecato un’occasione storica. Dopo avere profilato la possibilità di una Bce che va a muoversi verso l’orizzonte della Fed, la montagna potrebbe partorire un topolino. Il rischio è che si riproponga un mercato interbancario nel quale i sospetti superino le certezze e la fiducia reciproca. Il mercato interbancario in questo modo non si sbloccherebbe, perché il Quantitative easing non si trasmetterebbe in modo adeguato sull’economia reale.
(Pietro Vernizzi)