Doveva innescare una nuova tempesta perfetta, invece la vittoria di Syriza ha fatto sobbalzare le borse per un paio di giorni, poi da giovedì i mercati si sono calmati, anche ad Atene. Come mai? Sono stati allarmisti prima e ingenui poi? I segnali che vengono dal nuovo governo greco restano confusi e contraddittori: da una parte blocca le privatizzazioni, compresa la vendita del Pireo ai cinesi arrivati nel 2010 quando tutti (a cominciare dalle banche tedesche) scappavano; dall’altra invia degnali distensivi all’Ue, spiega che non vuole scardinare nulla, ma alleggerire un peso che sta schiacciando il Paese. 



Al presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijesselbloem, nell’incontro ad Atene, Alexis Tsipras e il ministro delle finanze Yani Varoufakis hanno presentato le linee secondo le quali dovrebbe avviarsi la trattativa: allungamento delle scadenze del debito, alleggerimento degli interessi che dovrebbe essere mantenuti in una forchetta tra l’1 e l’1,5% nel lungo periodo, riduzione del surplus primario, oggi previsto al 4,5% del Pil, all’1%, introduzione di una clausola della crescita alla quale collegare la restituzione del debito. L’inviato europeo non può che alzare lo scudo, ma sa bene che su alcuni punti qualificanti la Grecia potrebbe spuntarla. È esattamente ciò che ha convinto i mercati a non picchiare duro, tanto più in quanto esistono alcune tendenze di fondo, veri e propri cambiamenti strutturali, che sulla carta aiutano il negoziato greco: la deflazione, la politica monetaria della Bce, il ritorno della crescita e una riduzione dei macrosquilibri mondiali, per esempio tra Stati Uniti e Cina. 



I dati sui prezzi al consumo forniti ieri, -0,6% a gennaio, mostrano che l’Eurozona è in deflazione. Inutile baloccarsi con eufemismi come disinflazione, a ottobre c’era un segno positivo (+0,4%) e in quattro mesi si è perso un punto percentuale. Se si escludono i prezzi dell’energia, il nocciolo duro dell’inflazione è ancora allo 0,6%, ma continua a scendere anch’esso mese dopo mese. Gli effetti positivi (prodotti a buon mercato) vengono superati da quelli negativi: spinge ad astenersi dagli acquisti in attesa che i prezzi scendano ancora, fa diminuire i profitti insieme alla domanda e rischia alla lunga di non ripagare i costi; ma soprattutto aggrava il peso del debito. Per paesi come la Grecia o l’Italia è una sciagura. 



Dunque, rinegoziare i tempi e gli interessi da pagare è del tutto ragionevole. Gli accordi debbono essere rispettati, ma quegli accordi sono stati stipulati quando non c’era la deflazione. Oggi lo scenario è diverso anche rispetto al 2012 quando la Grecia ha ottenuto condizioni migliori rispetto a quelle capestro del 2010.

Il secondo cambiamento importante riguarda la congiuntura. I segnali di ritorno allo sviluppo si moltiplicano, anche in Italia. Ieri è arrivata la prima discesa della disoccupazione a dicembre, anche se solo di pochi decimali rispetto al mese precedente (dal 13,3% al 12,9%) e bisogna tener conto che dal 2007 è raddoppiata, come ha ricordato il governatore Ignazio Visco, il che vuol dire oltre due milioni di persone hanno perso il posto di lavoro in sette anni. È essenziale a questo punto cogliere l’occasione e mettere tutte le vele al vento. Una stretta fiscale adesso rischia di compromettere il futuro. Anche in Grecia il prodotto lordo ha il segno più, anzi si prevede una crescita superiore ai due punti, quindi conviene a tutti fare in modo che si consolidi anziché provocare un nuovo tonfo. Anche questo spezza una lancia a favore non di regalie unilaterali, ma di un aggiustamento condiviso e ben gestito. 

Martedì Tsipras verrà in Italia e incontrerà Renzi, il quale si è mostrato ben disposto. La posizione italiana, a quel che si sa, è ferma sul debito (i greci hanno ottenuto 40 miliardi di euro, poco meno di quanto ha dato la Francia), ma molto più aperta sulla politica fiscale. Il ministro dell’Economia Padoan non è affatto ostile a una riduzione dell’avanzo primario concordato con la troika, un precedente che potrebbe aiutare l’Italia la quale, lo ricordiamo, ha rinviato di un anno il pareggio del bilancio previsto dal Fiscal compact. 

Nemmeno l’Italia può dire di aver imboccato in modo sicuro la via della ripresa. In questi giorni si moltiplicano le previsioni ottimistiche, la Confindustria vede addirittura una crescita del 2,1%, mentre per la Banca d’Italia si può andare ben sopra il punto percentuale. Prezzi petroliferi, svalutazione dell’euro, moneta a bassissimo costo, sono i tre “doni” che arrivano dall’estero, ma all’interno si segnala un cambiamento delle aspettative e anche nello stato d’animo di famiglie e imprese. Segnali positivi da preservare e consolidare con una politica economica che accompagni la curva della congiuntura e magari la stimoli per quel che è possibile con una riduzione progressiva delle tasse. 

L’Italia, dunque, può diventare un alleato naturale della Grecia se Tsipras si lascia dietro le spalle la retorica che lo ha fatto vincere. Ogni proposta può essere realizzata in tempi e modi ben diversi; anzi sono propri tempi e modi che la rendono fattibile o soltanto una vaga promessa. Dunque, hanno ragione i mercati rispetto ai sacerdoti dell’ideologia tedesca? 

È ancora presto per giudicare, almeno da queste prime mosse. Forse anche i guru della finanza s’illudono, ma da loro viene (una volta tanto) un invito alla saggezza che può dare risultati convincendo Syriza che non ci sono pasti gratis o, se preferisce Mao Tse-tung, che la rivoluzione non è un pranzo di gala.